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Sport per migranti? Funziona, ma non garantisce integrazione

Ricerca università Napoli mostra luci, ombre sport per immigrati

16 ottobre, 18:26

(ANSAmed) - NAPOLI, 16 OTT - "Il calcio è un fattore di integrazione, ma non si deve commettere l'errore di pesare che lo sport porti automaticamente risultati positivi, serve governarlo". Così Luca Bifulco, professore di sociologia all'Università Federico II di Napoli, spiega la ricerca portata avanti insieme ad Adele Del Guercio, docente di diritto dell'Unione Europea e Tutela internazionale dei migranti all'Università Orientale di Napoli, e presentata durante il seminario ""Il calcio come strumento di inclusione sociale dei migranti" a Napoli.

"Dal punto di vista sociologico - spiega Bifulco - il calcio è un fattore di integrazione efficace, come emerso dallo studio di un esempio a noi vicino, l'Afro Napoli United, squadra che gioca il campionato dilettantistico ed è composta da soli migranti. Ma la ricerca ci ha portato a capire come funziona la promozione del multiculturalismo anche come elemento pratico nella vita dei calciatori nel contesto sociopolitico ed economico più ampio. In questo senso la mitopoiesis dello sport è che sia sempre positivo, invece è un fenomeno sociale come altri, che può essere piacevole o negativo. Funziona sicuramente su alcuni aspetti come le questioni sanitarie, visto che questi ragazzi vengono seguiti dai medici nella loro attività sportiva, ma dal punto di vista delle questioni occupazionali ha un effetto limitato ad esempio". Il calcio, insomma, non aiuta gli immigrati a creare una rete relazionale tale da aiutarli nell'integrazione anche fuori dal campo: "Sulle questioni della formazione - spiega Bifulco - o ad esempio sugli aspetti occupazionali e di abitazione ha un effetto irrilevante. Al massimo si possono trovare fonti di reddito occasionale". La "rete" di conoscenze che può portare a sviluppi lavorativi o di miglioramento della condizione di vita, è piuttosto limitata. "In sociologia - illustra Bifulco - ci sono diversi tipi di capitale sociale, come viene definita la rete di relazioni: il calcio ha rafforzato la rete all'interno del gruppo stesso degli immigrati, ma ha avuto effetti sensibili solo nel creare ponti con persone già sensibili all'integrazione". Insomma, lo sport non basta: "Bisogna investirci - prosegue Bifulco - ma senza adagiarsi. Se investi sullo sport e poi pensi che la cosa porti risultati a prescindere non basta. Bisogna investire anche su aspetti infrastrutturali, bisogna tenere conto che il migrante deve badare alla propria assistenza e non ha tanto tempo per attività ricreative. Questo vale per tutti i casi di inclusione sociale delle persone disagiate: si deve creare un contesto adeguato". E a volte lo sport può anche diventare sinonimo di esclusione sociale: "Sarebbe interessante - conclude il docente - organizzare tornei anche degli sport dei Paesi di origine dei migranti, coinvolgendo anche gli italiani, però. Una volta ho studiato una situazione in cui si organizzavano tornei di tennis da tavolo per immigrati cinesi, ma giocavano solo tra loro, e lo sport diventava un elemento di esclusione". Ma l'esclusione arriva spesso anche dalle regole dello sport italiano. "Una delle difficoltà maggiori - spiega Del Guercio - è relativa alle regole del tesseramento. Le regole della Federcalcio richiedono che qualsiasi cittadino non europeo deve presentare un certificato di residenza e il permesso di soggiorno in corso di validità per iscriversi a un campionato.

Chiunque non abbia il permesso di soggiorno o sia un richiedente asilo in attesa di risposta resta escluso dalle competizioni sportive. E' un'incongruenza, visto che nei trattati internazionali si parla di diritto allo sport che non incide sulla sicurezza dello stato ed è visto come strumento di integrazione". La situazione è ancora più difficile per i minori stranieri: "a loro viene richiesto anche il permesso di soggiorno dei genitori, quindi anche chi è nato qui è escluso dalle competizione. Una norma estremamente discriminatoria e di esclusione sociale. Così lo sport è uno dei luoghi in cui è più palese la discriminazione che vivono i migranti nella società italiana". Lo "ius soli" dello sport è stato però lanciato in alcune discipline: "C'è nel pugilato e nell'hockey, due federazioni - spiega Del Guercio - che hanno modificato i regolamenti interni per poter tesserare minori stranieri nati in Italia anche se i genitori non hanno il permesso di soggiorno.

Sarebbe auspicabile che si allargasse anche ad altre federazioni".(ANSAmed).

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