Sono gli ebrei, già ai tempi dell'antico ghetto, i primi a svolgere questo mestiere. All'inizio del Novecento, un'autorizzazione del Vicariato di Roma consente loro di vendere rosari ai pellegrini cattolici: gli ebrei romani diventano così ufficialmente urtisti. Durante il fascismo, viene data loro una speciale divisa, che comprendeva berretti con l'acronimo Sfva (Sindacato fascista dei venditori ambulanti). Le licenze ufficiali si tramandano di padre in figlio, fino al 1938, anno di emanazione delle leggi razziali: la condizione dei peromanti, come quella di tutti gli ebrei, precipita. Al tempo, la comunità ebraica era costituita essenzialmente da casalinghe, artigiani e piccoli commercianti (il 25% del totale), di cui quasi un terzo ambulanti. Ma perfino con i nazisti in città i peromanti, diventati tutti abusivi, continuano a lavorare. L'attività è affidata soprattutto a ragazzini, veloci e meno soggetti a controlli, che vendono di tutto, anche ai soldati tedeschi: cartoline, sigarette, lucido da scarpe, crema da barba. Dopo la guerra, arrivano i turisti: americani, giapponesi.
Inizia l'epoca del turismo di massa e poi il boom economico. I peromanti imparano le lingue; il loro mestiere, considerato un tempo miserabile, diventa ambito: oltre alle tradizionali 63 licenze, il comune ne concede altre 52 (monumenti minori, chiese, alberghi). Col trascorrere dei decenni e i cambiamenti socio-economici, oltre all'affermarsi del turismo "mordi e fuggi", le percentuali dei venditori ambulanti nella comunità ebraica sono diminuite: oggi solo il 6% svolge questo mestiere. Tuttavia, come hanno sottolineato gli organizzatori della mostra, colpisce il fatto che molti di loro siano persone che hanno studiato e che hanno scelto di continuare il mestiere di famiglia, con modalità tradizionali, in omaggio alla propria storia e alla storia cittadina.(ANSAmed).