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Rabbino capo Roma Di Segni, Papa con noi contro estremismi

Dialogo ebrei-cristiani cresce, non chiamateci fratelli maggiori

08 gennaio, 16:30

(di Elisa Pinna). (ANSA) - ROMA, 8 GEN - La visita di papa Francesco nella sinagoga di Roma il prossimo 17 gennaio rappresenta, per la comunità ebraica, la conferma di un rapporto di "amicizia, consuetudine e tradizione" tra le due fedi, ma sopratutto un messaggio di "pace" in contrapposizione "all'estremismo dilagante, alle violenze in nome della religione", che sconvolgono i nostri giorni. A parlare, in un'intervista all'ANSA, è il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni, che accoglierà e guiderà Francesco nel Tempio maggiore della più antica comunità ebraica della diaspora. Bergoglio sarà il terzo pontefice a varcare la soglia della sinagoga di Roma, dopo la visita storica di Giovanni Paolo II, il primo pontefice romano - con l'eccezione di Pietro - che mise piede in un luogo di culto ebraico (13 aprile 1986) e quella di Benedetto XVI (17 gennaio 2010). Wojtyla, salutato dall'allora rabbino capo Elio Toaff, si riferì agli ebrei come ai 'fratelli maggiori'. Che ne pensa il mondo ebraico di questa definizione, che continua ad essere così usata? "Io ho sempre detto che è un'espressione un po' ambigua - ha risposto il rabbino -. Dal punto di vista mediatico è di grande impatto. Dal punto di vista teologico-biblico è però problematica, perché il fratello maggiore nella Bibbia e anche nel Nuovo testamento, per esempio nella Lettera ai Romani di Paolo, è il cattivo e il perdente. Quindi in questa espressione vi può essere anche un riferimento al sostituzionismo, anche se di queste cose l'uomo della strada non sa assolutamente niente".

"Meglio che ebrei e cristiani si definiscano da soli", ha consigliato con un sorriso. Di Segni accolse, da rabbino capo di Roma, papa Benedetto XVI nel 2010 e farà gli onori di casa a Francesco, il 17 gennaio prossimo.

Come giudica l'atteggiamento dei due papi verso il dialogo con l'ebraismo? "Durante il pontificato di Benedetto XVI ci sono stati degli incidenti, diciamo così. Comunque è stato proprio Ratzinger a voler sottolineare certi punti molto importanti e positivi per la riflessione della Chiesa nei confronti degli ebrei". In passato Di Segni ha apprezzato ad esempio il libro di Benedetto XVI dedicato alla vita di Gesù, dove si definiscono gli ebrei "il popolo santo". "Ogni papa - ha spiegato all'ANSA - è differente, ha la sua storia e il suo stile. Nei rapporti con l'ebraismo ognuno ha le sue sensibilità, le sue priorità.

Benedetto è sopratutto un uomo di studio che ha analizzato gli aspetti dottrinali nei rapporti con l'ebraismo. Francesco è un papa pastorale, che quindi tocca altri tasti di sensibilità, ed ha dato, prima come arcivescovo di Buenos Aires, poi come papa, segnali di amicizia verso il popolo ebraico e la sua tradizione religiosa". "Al di là delle persone, quello tra ebrei e cristiani è comunque un processo di amicizia che va avanti in modo positivo", ha osservato il rabbino pur non nascondendo che sono tuttora "aperti diversi problemi" tra Chiesa cattolica e ebraismo. "C'è innanzitutto la parte dottrinale", ha spiegato, definendo l'ultimo documento pubblicato dal Vaticano lo scorso 10 dicembre un'importante "messa a punto" sul ruolo del popolo ebraico e su come la Chiesa cattolica debba rapportarsi all'ebraismo. "Nella parte dottrinale è stato trascurato finora - ha però rimarcato - il problema del legame del popolo ebraico con la terra di Israele, che rappresenta per gli ebrei un punto di fede e di storia essenziale". "Poi - ha aggiunto il rabbino - rimangono una serie di questioni di interpretazione storica, di interpretazione della Shoah e del ruolo della Chiesa in quei tempi". Ma, al di là di tutto ciò, la visita di Francesco in Sinagoga, ha ripetuto Di Segni, avrà la sua forza proprio nel momento storico che stiamo vivendo. "Noi siamo sconvolti e preoccupati per l'estremismo dilagante e le violenze in nome delle religioni. Il segnale che si vuole dare è che le differenze di fede non devono essere motivo di ostilità, di violenza e di odio, ma al contrario una ragione per convivere e lavorare per la pace. Il 17 gennaio non sarà certo un evento di routine", ha concluso.

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