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Medu, continua sfruttamento nella Piana di Gioia Tauro

Condizioni braccianti aggravate da pandemia e decreti sicurezza

17 luglio, 12:38

(ANSAmed) - ROMA, 17 LUG - Con il rapporto "La pandemia di Rosarno", l'organizzazione italiana Medu denuncia che continua lo sfruttamento del lavoro e le pratiche illegali contro i migranti braccianti agricoli nella Piana di Gioia Tauro, in Calabria, condizioni aggravate dalle conseguenze dei decreti sicurezza e della pandemia del coronavirus.

ROMA - Lo sfruttamento lavorativo e le pratiche illecite ampiamente diffuse, a cui si aggiungono la carenza di controlli e l'assenza di efficaci misure di contrasto alle illegalità sul lavoro, hanno impedito anche quest'anno l'accesso dei braccianti della Piana di Gioia Tauro a condizioni di vita dignitose.

Inoltre, la crescente precarietà delle condizioni giuridiche in seguito all'entrata in vigore dei Decreti Sicurezza e gli effetti della pandemia da Coronavirus hanno avuto un impatto peggiorativo sulle condizioni di vita, di lavoro e sulla salute fisica e mentale dei lavoratori stranieri. È quanto emerge dal rapporto "La pandemia di Rosarno", realizzato dall'organizzazione Medici per i diritti umani (Medu), che per il settimo anno consecutivo, con la sua clinica mobile ha operato nell'area della Calabria durante la stagione di raccolta agrumicola, fornendo prima assistenza sanitaria e orientamento sull'accesso ai diritti fondamentali ai circa 2mila lavoratori che popolano gli insediamenti precari sparsi nei Comuni di Rosarno, San Ferdinando, Drosi (frazione del Comune di Rizziconi) e Taurianova. Il rapporto analizza due fasi, quella precedente alla comparsa del Covid-19 e quella successiva, iniziata con il provvedimento del lockdown nel mese di marzo, mettendo in luce gli effetti della pandemia sulle già critiche condizioni di esclusione, marginalità e sfruttamento dei braccianti della Piana.

Il 90% delle persone assistite era regolare La gran parte delle patologie riscontrate dal team clinico di Medu rappresentano uno specchio delle pessime condizioni igienico-sanitarie, lavorative e abitative in cui è costretta a vivere la popolazione bracciantile della Piana di Gioia Tauro: emarginazione sociale, stigmatizzazione, promiscuità abitativa, carenza di elettricità e servizi igienici, mancanza di acqua potabile e riscaldamento negli insediamenti informali, condizioni lavorative disumane, alimentazione scorretta o insufficiente. Il 90% delle persone assistite era regolarmente soggiornante. Di queste, i due terzi erano richiedenti asilo, titolari di protezione internazionale e altri tipi di protezione e il 25% era in fase di rinnovo o conversione della protezione umanitaria. "In realtà, il primo Decreto Sicurezza (ottobre 2018) ha abolito la protezione umanitaria, che negli anni passati rappresentava il titolo di soggiorno più diffuso tra i braccianti, lasciando ben poche possibilità di regolarizzazione ai molti lavoratori che, a causa delle diffuse irregolarità contrattuali subite (lavoro grigio), non possiedono i requisiti per la conversione del titolo di soggiorno in motivi di lavoro.

E' assai probabile, inoltre, che il recente provvedimento di sanatoria troverà nella Piana di Gioia un'applicazione molto limitata a causa di numerose e rilevanti criticità", sottolinea Medu.

"Manca la volontà politica contro lo sfruttamento" "Per l'ennesima stagione, Medu ha potuto constatare l'assenza di una volontà politica e di una pianificazione strategica volte ad incidere in modo significativo sul gravissimo fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori stranieri in agricoltura nella Piana di Gioia Tauro", denuncia Medu, sottolineando che l'arrivo della pandemia che è stato un evento sanitario e sociale drammatico, avrebbe potuto rappresentare un'occasione di forte discontinuità per affrontare in modo nuovo e deciso la drammatica situazione dei braccianti. Medu torna a chiedere l'adozione di misure immediate e di lungo periodo per il contrasto dello sfruttamento bracciantile, il superamento dei ghetti e la promozione della legalità.

PHOTO: Un gruppo di braccianti intorno ai resti della capanna del giovane che ha perso la vita dopo l'incendio divampato nella baraccopoli di San Ferdinando (Reggio Calabria), 16 febbraio 2019.

ANSA/ MARCO COSTANTINO (ANSA).

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