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Migranti: Salvo Lupo, dar loro vie legali contro trafficanti

Denunciò naufragio Portopalo. 'Vergognoso accordo con Libia'

04 marzo, 15:15

Salvo Lupo alla presentazione della fiction tv  ''I fantasmi di Portopalo'' Salvo Lupo alla presentazione della fiction tv ''I fantasmi di Portopalo''

(di Luciana Borsatti)

ROMA - I migranti in Europa "devono poter venire legalmente" e i soldi che hanno, "invece di darli agli scafisti, li usino per finanziarsi la loro permanenza qui". Salvo Lupo, il pescatore siciliano di Portopalo che ha rotto il silenzio dei compagni sui cadaveri pescati con le reti nel tratto di mare del naufragio "fantasma" del 1996, parla con parole semplici che hanno la stessa forza etica del suo semplice gesto: quello di denunciare nel 2001 che quel naufragio c'era stato davvero, in modo che i trafficanti pagassero alla giustizia il prezzo di quei quasi 300 morti in fondo al mare.

A riportare a galla il ricordo di quella tragedia, dopo gli articoli ed il libro del giornalista di Repubblica Giovanni Maria Bellu (Mondadori 2004 e 2017) la fiction con Giuseppe Fiorello trasmessa su Raiuno poche settimane dopo il decimo anniversario di quel naufragio, avvenuto il 26 dicembre 1996. Una fiction che ha anche risvegliato malumori e ostilità fra chi a Portopalo avrebbe preferito che di quel naufragio non se ne parlasse proprio, come si era scelto di fare quanto i primi corpi restavano impigliati nelle reti, per timore che un'inchiesta conducesse ad un fermo della pesca, principale attività economica del paese. Tanto, era la logica di quella decisione sostenuta anche dal parroco, ormai nulla poteva cambiare per chi la pace l'aveva già trovata in fondo al mare.

Salvo Lupo, bersaglio di quei malumori per la cattiva luce che quella vicenda gettava sulla comunità locale, non vorrebbe suscitarne altri. Il suo è stato "solo un gesto normale, semplice - dice parlando con ANSAmed insieme alla moglie Maria - ma è diventato eroico solo per l'accanimento degli altri". Anche lui aveva taciuto quando i primi cadaveri riemergevano in quel punto tra la Sicilia e Malta, dove persero la vita in 283 tra pachistani, indiani e tamil. E così era stato consigliato di fare anche quando, quattro anni dopo, nella rete aveva trovato la carta di identità di Anpalagan Ganeshu, uno di quei morti senza nome. Ma quando si rese conto che, proprio perché di quel naufragio non vi erano prove, i trafficanti imputati per quella tragedia rischiavano di essere assolti (armatore e capitano furono poi condannati a 30 anni) - si decise a parlare. Trovando ascolto in un giornalista di Roma.

"Anche gli italiani sono un popolo di migranti - dice seduto al tavolo di cucina della sua casa di campagna - cosa avremmo fatto se in un naufragio fossimo morti noi?". Oltre alla moglie, che l'ha sempre sostenuto con coraggio, c'è anche la figlia Giusy, neo-mamma di un bel bambino che ha gli stessi occhi azzurri del nonno. Anche lei è emigrata a Manchester, mentre un fratello si è stabilito in Canada.

Salvo, dopo le tensioni sorte in paese, ha dovuto smettere di fare il pescatore e si è imbarcato sui rimorchiatori prima di Augusta in Sicilia, poi più lontano: a Crotone in Calabria e a Livorno in Toscana. E dai ponti di quelle navi ha visto altri barconi di migranti diretti in Europa, "salvandone tanti" - racconta - ma anche trovandosi nelle condizioni di doverli affidare alle forze libiche.

"Erano i tempi dell'accordo tra Berlusconi e Gheddafi", dice dell'intesa Italia-Libia ratificata nel 2008. "Ho visto migranti fatti entrare a forza in un container e riportati sulla costa - racconta - e quel container caricato su un camion ancora chiuso". Anche il governo attuale ha fatto un accordo sui migranti con la Libia, o meglio con il premier Al Sarraj, riconosciuto solo da alcune forze. "Un accordo vergognoso. I libici - dice - sono razzisti forti, e di natura". Del resto, a suo avviso la disperazione di chi fugge è un business non solo per i trafficanti: anche l'accoglienza lo è, denuncia, per qualche ente che la gestisce in Italia. Dove il rischio è che i migranti "diventino braccia per la criminalità".

Ma per Salvo vi sono anche esempi "di integrazione vera", come quella del paese costiero di Riace, in Calabria, dove il sindaco Mimmo Lucano ha ospitato i migranti nelle case abbandonate dagli emigrati del posto, rivitalizzando comunità ed economia locali.


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