La giovane giornalista egiziana ha segnalato anche il caso di Adel Sabry di Masr Al Arabija, in carcere per aver pubblicato durante le ultime elezioni presidenziali una traduzione da un articolo del New York Times su presunte irregolarità nello svolgimento del voto. L'accusa era inizialmente quella di inadeguata copertura giornalistica, ma si è poi formalizzata, riferisce Nafisa El Sabagh, in quella di terrorismo. E proprio ieri la sua detenzione preventiva gli è stata prolungata di 45 giorni. La questione si lega strettamente all'offensiva che dura da anni, con la presidenza Sisi, contro ogni dissenso che rischia di essere etichettato di terrorismo e di vicinanza ai Fratelli Musulmani, che terroristi sono appunto considerati come altri gruppi jihadisti. "Anche i giornalisti - ha detto - rischiano di essere etichettati come terroristi islamici. Finché non avremo una forza politica indipendente, che non sia collegata a questa destra religiosa, sarà difficile portare la gente ad avere idee libere come nel 2011", l'epoca della rivoluzione contro Mubarak.
La polarizzazione nata dalla reazione contro il breve periodo di governo dei Fratelli musulmani in Egitto e la cattiva esperienza con l'ala destra da loro rappresentata - ha detto - ha reso difficile per i giornalisti spiegare alla gente che c'e' una differenza tra i gruppi pericolosi, che fanno discorsi e di odio e vogliono ammazzare quanti sono diversi da loro, e altri gruppi religiosi conservatori. Se un giornalista cerca di distinguere tra i due viene subito attaccato, non si accetta nessuna spiegazione razionale. Una polarizzazione che il regime è ben contento di assecondare". Un altro problema con cui i giornalisti egiziani si confrontano è quello che ormai tutti i media, anche quelli che un tempo erano privati, sono di proprietà dello stato o fanno in vario modo capo a enti governativi o imprenditori vicini al governo. "Sono loro a pagare i giornalisti - ha detto la Nafisa El Sabagh - . Loro pagano i salari ai giornalisti, e i media dovrebbero riflettere i loro interessi".
Più di 500 siti web sono ora bloccati, ha detto ancora la giornalista, e sempre più difficile superare tecnicamente questi blocchi. Censurato in Egitto anche il sito da lei fondato, con l'intento di dare voce a donne che cercano di affermare modelli identitari e lavorativi diversi da quelli tradizionali ancora radicati. Ma il lavoro continua su base volontaria, conclude, per continuare a dar voce a queste donne. Molto difficile e rischioso anche lavorare come freelance e senza essere membri del sindacato ufficiale dei giornalisti - cosa possibile se già si lavora regolarmente con un organo di informazione da vari anni, e se tale organo ha l'approvazione statale. Chi non abbia questo tipo di copertura, rischia molto di più se vuole svolgere la professione. "Il giornalismo non è una professione che garantisca sicurezza al 100%, ma spero che noi egiziani possiamo avere la possibilità di rischiare con il nostro lavoro per qualcosa, e non per niente, ha concluso.
(ANSAmed).