A dar fuoco alle polveri - dopo mesi di frecciate e contrasti più o meno sotterranei su temi delicati quali le agevolazioni fiscali alle scuole rabbiniche o le esenzioni dal servizio militare degli ebrei ortodossi - è stato Lieberman. Che in questi giorni ha assunto improvvisamente panni 'moderati' sulle espulsioni collettive degli immigrati senza permesso - sostenute a spada tratta da Yishai, ma imbarazzanti nei rapporti internazionali oltre che di fronte alle organizzazioni per la tutela dei diritti umani - criticando in pubblico il collega degli Interni. Lieberman ha preso di mira in particolare le modalità, fin troppo reclamizzate, della 'caccia al clandestino'. E ha accusato Yishai d'aver "montato un festival" sull'espulsione di alcune centinaia di poveri sud-sudanesi (avviati al rimpatrio da domenica scorsa e destinati a essere seguiti presto da altri 'sans papiers' africani, ivoriani in testa) per intercettare populisticamente il consenso dei quartieri in cui la convivenza con costoro s'era fatta di recente spinosa, ai limiti della xenofobia.
La replica piccata e sprezzante di Yishai, affidata a una nota del suo partito, non si è fatta attendere: "Il mandato di Lieberman alla guida del ministero degli Esteri - vi si legge - é stato uno dei peggiori nella storia d'Israele, come testimonia il numero (insolitamente basso, ndr) di visite ufficiali che egli ha potuto fare negli Usa". Lieberman, secondo Shas, è pertanto "una delle ultime persone in grado di dar lezioni in materia di diplomazia e affari internazionali".
Ora toccherà al premier, Benyamin Netanyahu, metterci una toppa. Non è la prima volta e il governo resta comunque al riparo da scricchiolii seri, osserva un deputato centrista della Knesset che chiede di non essere nominato. "Il guaio - aggiunge con un sospiro - è semmai che, nel duello rusticano Yishai-Lieberman, potrebbero aver ragione tutti e due".
(ANSAmed).