(di Paolo Paluzzi)
(ANSAmed) - TUNISI, 28 DIC - Con l'approssimarsi della fine
dell'anno è inevitabile cercare di voler trarre un bilancio per
quanto riguarda la Tunisia, a 5 anni appena compiuti dalla
cosiddetta ''rivoluzione dei gelsomini'' e tentare di prevedere
gli aspetti che domineranno la vita politica e sociale del Paese
nordafricano per il 2016.
Se da un lato infatti il 2015 si è chiuso con il
riconoscimento del Premio Nobel per la pace al Quartetto
nazionale per il dialogo tunisino, segnale di riconoscimento
degli sforzi compiuti e, nel contempo, di incitamento a
proseguire sulla strada intrapresa, quest'anno è stato anche
l'anno del terrorismo: tre attentati principali (altri minori
contro forze armate e dell'ordine si verificano con una certa
regolarità dal 2013 specie verso i confini con l'Algeria) al
museo Bardo di Tunisi, in un resort turistico sulla spiaggia di
Sousse e contro un autobus che trasportava agenti della guardia
presidenziale nel pieno centro della capitale, hanno
profondamente scosso il paese mettendo in luce la fragilità
dell'equilibrio della transizione democratica che ha vissuto il
Paese.
Dal 2011 violenze, assassini politici, continue tensioni
sociali non hanno comunque impedito di giungere alla
promulgazione di una nuova Costituzione nel 2014, alla tenuta di
elezioni libere e trasparenti per eleggere parlamento e
presidente della Repubblica alla fine dello stesso anno e nel
2015 alla formazione del governo guidato da Habib Essid, ma
molte sono ancora le ombre che oscurano il cammino tunisino e
l'anno che verrà potrà stabilire se davvero il paese abbia
intrapreso un cammino non a rischio.
Per capire meglio cosa potrebbe succedere, occorre analizzare
ciò che accade a livello politico in tutto il paese, non solo
nelle periferie disagiate, spesso fucina di giovani
radicalizzati. Ciò che preoccupa, infatti non è soltanto la
presenza di forze contro il sistema, pronte a far naufragare le
speranze di democrazia, ma anche la presenza di spinte
reazionarie all'interno dello stesso quadro politico che sta
guidando la Tunisia. Inevitabile per il paese sarà dunque
riuscire a risolvere la difficile equazione tra libertà politica
e di espressione e lotta al terrorismo, cercando di evitare la
deriva autoritaria. La forte frammentazione sociale, regionale e
generazionale che la rivoluzione non è riuscita a ricucire, ma
che al contrario è aumentata negli ultimi anni, resta una
priorità da affrontare urgentemente, per abbattere o perlomeno
diminuire le diseguaglianze nell'accesso ai servizi, al lavoro,
alla sicurezza e soprattutto ai diritti fondamentali. La classe
dirigente continua a essere percepita dalla gran parte dei
cittadini come troppo distante dalle loro esigenze e, spesso,
appare rinchiusa all'interno della sua torre d'avorio, impegnata
in diatribe interne più che a risolvere questioni cruciali per
il futuro di tutti. La crisi che sta attraversando attualmente
il partito di maggioranza relativa Nidaa Tounes al proposito ne
è un chiaro esempio. Il cammino verso la democrazia è certo un
processo lungo, per cui sarebbe un errore giudicare ora o l'anno
prossimo la riuscita o meno dell'esperimento tunisino, tuttavia
si possono individuare i fattori di preoccupazione e gli
elementi di giustificata speranza per il futuro. Il compito di
agire spetterà per forza di cose ai leader tunisini che dovranno
saper cogliere le occasioni per cercare di superare anche le
difficoltà socio-economiche che spingono migliaia di giovani, in
assenza di prospettive concrete per il futuro, verso la
radicalizzazione e la partenza verso i territori di
combattimento del Jihad.
In ogni caso, in questo momento, la Tunisia rappresenta
l'unico esempio tangibile di transizione politica piu' o meno
riuscita all'interno del complesso mondo arabo. Sarebbe utile
dall'altra parte del Mediterraneo non dimenticarsi di quanto sia
importante l'esito di tale processo sia per la Tunisia che per
tutta la regione. (ANSAmed)
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