Dopo giorni di minacce contro i "terroristi" del Pyd, ala siriana del Pkk, l'esercito di Ankara è schierato alla frontiera con un'allerta al "massimo livello" e "pronto ad agire in qualsiasi momento". Il capo di stato maggiore Hulusi Akar e quello degli 007 Hakan Fidan, fedelissimo del presidente Recep Tayyip Erdogan, giovedì 18 gennaio sono volati a Mosca, in cerca del decisivo via libera di Vladimir Putin. Senza il consenso della Russia, che ad Afrin schiera almeno 300 soldati e insieme all'Iran è garante della tregua con Bashar al Assad, l'intervento turco sarebbe di fatto impraticabile. Tanto più che resta al di fuori dell'ombrello della Nato. Sui curdi la distanza tra Ankara e Washington resta enorme, nonostante le rassicurazioni del segretario di Stato americano, Rex Tillerson. A Mosca, la Turchia chiede soprattutto luce verde per l'uso dello spazio aereo, su cui oggi è giunto chiaro l'avviso di Damasco: un intervento ad Afrin verrebbe considerato come un "atto di aggressione" e la difesa siriana "abbatterà qualsiasi velivolo turco che violerà lo spazio aereo per attaccare in territorio siriano".
Secondo i piani approvati da Erdogan nel Consiglio di sicurezza nazionale, l'operazione su Afrin prevede un iniziale ingresso via terra di milizie siriane cooptate dalla Turchia, con una copertura di fuoco dell'artiglierà di Ankara, che già circonda a tenaglia l'enclave curda dal suo territorio e con l'avanguardia militare schierata in Siria nella zona di 'de-escalation' di Idlib.
Di fatto, l'artiglieria sta già martellando da giorni le postazioni del Pyd. Ma formalmente si tratta ancora di una risposta al fuoco nemico. In una seconda fase, ci sarebbe l'intervento aereo e quindi l'ingresso diretto dei soldati turchi. Un'operazione che, calcolano fonti militari di Ankara, durerebbe 60-70 giorni. Ma le incognite sul terreno sono molte. Nell'area controllata dal Pyd la popolazione civile è stimata in almeno mezzo milione di persone. In questi mesi, i combattenti curdi - almeno 8-10 mila - si sono inoltre preparati con l'arrivo di rinforzi, il cui passaggio sarebbe stato favorito dai lealisti di Damasco. La 'conquista' di Afrin rappresenta per Ankara una priorità strategica per impedire la creazione di quello che definisce un "corridoio del terrore" curdo e pesare di più nelle trattative sul futuro della Siria. Di fatto, è la prosecuzione dell'operazione Scudo dell'Eufrate, che tra l'agosto 2016 e il marzo dello scorso anno ha posto sotto il suo controllo l'area di confine tra Azaz e Jarablus. Con il via libera di Mosca, la Turchia sarebbe pronta ad agire, nonostante lo scontro con Washington. Nelle scorse ore, Tillerson ha provato a gettare acqua sul fuoco, spiegando che la forza di frontiera da 30 mila uomini a guida curda, annunciata dagli Usa, non è "un nuovo esercito". Parole che non hanno convinto il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, che evoca rischi di "danni irreversibili" ai rapporti bilaterali e avverte: "Non ci fidiamo più, vogliamo passi concreti".
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