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13mila detenuti musulmani, una moschea ogni quattro carceri

Ricerca Dap,imam moderati contro rischio proselitismo estremisti

10 febbraio, 20:57

L'ingresso al carcere romano di Regina Coeli L'ingresso al carcere romano di Regina Coeli

(ANSAmed) ROMA - Circa il 35% dei detenuti nelle carceri italiane proviene da Paesi di religione islamica, principalmente dal Maghreb e soprattutto da Marocco e Tunisia. E un carcere su quattro ha un locale adibito stabilmente alla preghiera. E' quanto emerge dallo studio 'Le Moschee negli istituti di pena' del ministero della Giustizia - Dipartimento amministrazione penitenziaria, anticipato da ANSAmed e che sarà presentato martedì a Roma, in un incontro sui 'Musulmani in Italia' promosso dall'Università Niccolò Cusano (Unicusano).

Su un totale di 64.760 detenuti al 30 settembre scorso (a fine anno si era scesi a circa 62.500 mila, ndr.), circa 23 mila erano gli stranieri e 13.500 gli originari di Paesi musulmani.

Spaccio di droga e furto i reati più diffusi, oltre a reati minori, come falsificazione di documenti o resistenza a pubblico ufficiale.

Dallo studio emerge che i musulmani osservanti sono poco meno di 9.000, e in 52 istituti sui 202 censiti possono riunirsi in preghiera in salette adibite a moschee. Nelle carceri dove le carenze strutturali non lo consentono, la preghiera avviene nelle celle o nei momenti di socialità e nei cortili interni. Le carceri - si premette nello studio, con riferimento al rischio di una diffusione del radicalismo religioso - sono un luogo dove "gli estremisti possono creare una rete, reclutando e radicalizzando nuovi membri attraverso una campagna di proselitismo, facilitata anche dalle difficili condizioni di sovraffollamento e dalla mancanza di risorse, vanificando così i tentativi di rieducazione e di reinserimento". Per questo per chi è accusato di terrorismo è prevista "la rigorosa separazione dalla restante popolazione detenuta", al fine di ridurre i rischi di proselitismo. "E' comunque doveroso ipotizzare che, anche nei circuiti comuni - prosegne l'analisi - vi possano essere detenuti integralisti di spessore", che possono trovarsi a contatto con "soggetti fragili, facilmente influenzabili".

Da qui dunque l'opportunità, emerge dallo studio, di individuare "imam moderati", "mediatori culturali" e "personaggi carismatici" che possono favorire una "deradicalizzazione" dei soggetti più estremisti. I quali spesso citano la religione pur avendone una conoscenza superficiale, mentre figure religiose adeguatamente formate, "soprattutto se appartenenti agli stessi gruppi tribali, etnici e linguistici, possono efficacemente confutare tali convinzioni, indicando le parole più moderate scritte nei testi religiosi".

Come sottolineato da Luca Bontempo, uno dei curatori della ricerca, frequentemente i detenuti si avvicinano alla fede mentre scontano la pena. "Il detenuto - sostiene Bontempo - trova conforto nella religione", che "dà la facoltà di ricreare il gruppo di appartenenza". Si calcola che vi siano una decina di convertiti all'anno, anche se è difficile farli rientrare in una categoria unitaria. Spesso si tratta di detenuti che non avevano salde convinzioni religiosa, ma che trovano nell'islam anche una protezione ed una nuova identità comunitaria. Fra i musulmani osservanti vi sono attualmente 181 imam, figure guida per la preghiera e di riferimento spirituale. A loro si aggiungono nove imam esterni che offrono con regolarità assitenza religiosa ai detenuti, una quindicina di mediatori culturali e circa 60 volontari. Un sistema di assistenza religiosa ancora "modesto", dichiara tuttavia Bontempo, tanto che si sta preparando con l'Ucoii (Unione delle comunità islamiche in Italia) un progetto di formazione di imam esterni che potranno entrare nell carceri con regolare attestato.

(ANSAmed).

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