(di Cristoforo Spinella)
(ANSAmed) - ISTANBUL, 4 SET - Adesso che il piccolo Aylan e
il suo fratellino Galip non ci sono più, come pure la loro mamma
Rehan, Abdullah Kurdi vuole solo restare a Kobane a vegliare
sulle loro tombe. Il padre del bimbo che con la sua foto dopo
l'annegamento è diventato il tragico simbolo della crisi
umanitaria dei migranti è tornato oggi nella martoriata città
curdo-siriana, simbolo mondiale della resistenza all'Isis, per
seppellire la sua famiglia.
Un drammatico viaggio a ritroso che mai avrebbe voluto fare,
ma che ora diventa il suo punto d'arrivo. Perché, racconta il
fratello Suleiman, lui "voleva andare in Europa solo per il bene
dei suoi figli". A Kobane c'è arrivato accompagnato da una
delegazione di deputati turchi, e da lì non si muoverà più. Ora
Abdullah non è più in cerca di un altro futuro: "Mia sorella
vive in Canada. Le autorità canadesi mi hanno chiamato per
chiedermi se volevo seppellire mia moglie e i bambini in Canada,
ma non ho accettato. Voglio seppellirli a Kobane", aveva
spiegato. E così è stato oggi per Aylan, 3 anni, Galip, 5, e la
loro mamma. Ad accoglierne le spoglie è la polverosa terra
battuta del 'Cimitero dei martiri', chiamato così per ragioni
diverse eppure tremendamente appropriato al loro destino.
"Pagherò il prezzo di tutto questo per il resto della mia
vita", ha detto Abdullah, sopravvissuto al naufragio, portando a
braccia i corpicini dei suoi figli fino alla loro tomba. Da
Kobane erano fuggiti insieme a giugno, dopo che l'Isis era
tornato ad attaccare la comunità capace di sconfiggerlo a
gennaio, al termine di mesi di combattimenti. Le controversie
irrisolte con le autorità canadesi, che hanno negato di aver
ricevuto una richiesta formale di asilo dalla famiglia di
Abdullah e spiegato di aver registrato solo quella di un altro
suo fratello, per lui sembrano ormai contare poco. Non andrà
Oltreoceano né tornerà in Turchia, dove pure gli sarebbe stato
offerto riparo. Quello che gli importa, invece, è che la morte
dei suoi piccoli serva almeno a scuotere le coscienze di chi, in
un modo o nell'altro, avrebbe potuto evitarla: "Voglio che i
governi arabi - non i Paesi europei - vedano i miei bambini, e
grazie a loro aiutino le persone". Ma oggi quell'immagine
continua a interrogare proprio l'Europa, che sembra ancora non
sapere come rispondere alla speranza di Abdullah: "Vorrei almeno
che i miei figli fossero gli ultimi a morire in questo modo".
(ANSAmed).
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