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Latifa, storia della domestica torturata da datori di lavoro

Il Marocco sotto choc, petizione online per le schiave bambine

18 gennaio 2018, 19:06

Redazione ANSA

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Una baraccopoli nella periferia di Casablanca - RIPRODUZIONE RISERVATA

Una baraccopoli nella periferia di Casablanca -     RIPRODUZIONE RISERVATA
Una baraccopoli nella periferia di Casablanca - RIPRODUZIONE RISERVATA

(di Olga Piscitelli)

RABAT - "Maltrattata e torturata dai suoi datori di lavoro". La storia di Latifa, 22 anni, originaria di Zagora, nel sud del Marocco, infiamma la Rete e riapre il caso delle schiave bambine. Ricoverata sabato scorso in ospedale, a Casablanca, in gravissime condizioni, Latifa ha il corpo devastato da ustioni. La famiglia che la ospitava in casa fin da quando era bambina, la colpiva su gambe e braccia con forchette arroventate. L'associazione Insaf che ha denunciato il caso ha definito la vicenda come "una violenza mai vista prima" e divulgando i dettagli ha raccontato anche che "la famiglia ospite, quando si è resa conto che la ragazza versava in gravi condizioni, l'ha accompagnata in una clinica, abbandonandola dopo aver depositato un assegno". Non è nemmeno la prima volta che Latifa finisce in ospedale: "Era successo anche tre mesi fa, poi però la famiglia aveva ripreso in casa la ragazza. Le ferite che ha su tutto il corpo sono l'evidenza di una barbarie continua. Ha 22 anni ma è denutrita e ne dimostra 16".

La polizia ha avviato un'inchiesta e l'associazione che è riuscita a far parlare la ragazza ha raccolto la terribile testimonianza di un calvario che dura da anni e che ha costretto Latifa a una vita di torture e stenti. Il caso è stato segnalato alla procura generale, la più alta autorità giudiziaria del regno e al Consiglio nazionale dei diritti dell'uomo (CNDH). Una petizione on line, lanciata sul sito avaaz.org chiede ora un processo esemplare e invita la società civile a reagire per "non essere complice della barbarie, attraverso il silenzio".

Il più recente rapporto dell'Alto commissariato al piano (HCP) stima che nel 2016 sono 193 mila i bambini che lavorano in Marocco e di questi 42 mila sono femmine. Uno studio realizzato nel 2010 da un collettivo di Ong ha ipotizzato che siano tra i 60 mila e gli 80 mila i minori di 15 anni che lavorano nelle case di famiglie facoltose, in tutto il paese. Il Parlamento ha di recente varato misure per regolarizzare una pratica molto diffusa come quella delle schiave bambine, più volte censurata dall'Onu. Alzando l'età a 16 anni, come soglia minima per i lavori domestici il Marocco ha creduto di porre argine a un fenomeno che affonda le radici nella notte dei tempi.

Da sempre le famiglie più povere, soprattutto nelle zone rurali e predesertiche, cedono le bambine a famiglie abbienti, che magari abitano nelle grandi città. A volte in cambio di denaro, spesso anche solo accontentandosi della garanzia per le piccole di un pasto e un riparo per la notte. Le bambine sono di fatto schiave e finiscono per vivere nascoste nelle case di cui si occupano, notte e giorno. Quando sono fortunate hanno diritto a un salario che però è fissato dalla consuetudine al 60 per cento della paga sindacale di base che in Marocco è pari a 300 euro mensili circa. Non hanno però i benefici della pensione e nemmeno la copertura sanitaria. La legge varata ad agosto fissa il limite dei 16 anni d'età al di sotto del quale le ragazzine non possono utilizzare per esempio elettrodomestici pericolosi come il ferro da stiro o sostanze nocive, quali la candeggina. Di fatto però i controlli sono impossibili, il domicilio è inviolabile per legge, gli ispettori sono troppo pochi e le assistenti sociali non hanno ancora statuto giuridico, quindi non sono riconosciute. 

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