(di Luciana Borsatti) (ANSAmed) - ROMA - Rivoluzioni di popolo, e rivoluzioni pensate a tavolino. Programmate cioe' nei think tank e nelle ricche fondazioni di Washington, portate in piazza da attivisti addestrati alla protesta non violenta a Belgrado.
Parla di questo il libro di Alfredo Macchi ''Rivoluzioni spa.Cosa c'e' dietro la Primavera araba'' (Alpine Studio), al centro di un giro di presentazioni in Italia approdato a Roma, in un dibattito tra l'autore e due suoi colleghi giornalisti, Sandro Provvisionato e Cristiano Tinazzi. ''Il mio cuore resta sempre con la piazza - ha detto Macchi, che da inviato di Mediaset ha seguito le rivoluzioni in Tunisia, Egitto e Libia - ma in questo libro ho voluto raccontare quello che molta stampa ha tralasciato''. A partire da quelle magliette indossate da alcuni manifestanti di piazza Tahir, magliette sui cui campeggiava lo stesso pugno chiuso che, prima di essere mutuato anche in Iran e in Ucraina, era stato il simbolo del movimento 'Otpor!' (Resistenza), anima delle rivoluzione del 2000 in Serbia. A fondarlo era stato Srdja Popovic, lo stesso attivista che ora dirige a Belgrado la scuola Canvas (Center for Applied non Violent Action and Strategies) dove si sono formati molti aspiranti rivoluzionari del Nord Africa e Medio Oriente.
Analogamente, molti protagonisti delle rivolte arabe hanno imparato a coordinarsi sui social network, aggirando le censure su internet imposte dai loro governi illiberali, in corsi finanziati da alcune organizzazioni Usa ricondubili ad una vera e propria galassia di ong, enti e fondazioni che da 30 anni costituiscono, racconta Macchi, ''una vera e propria diplomazia parallela, e in buona parte privata, che il Dipartimento di stato e la Cia utilizzano per portare a buon fine i propri piani strategici senza comparirvi ufficialmente''. A questo si aggiungono le potenti campagne mediatiche che nell'era di Al Jazeera sono le vere eredi della propaganda di guerra, con le tv satellitari che si accompagnano agli sbarchi in Libia dei soldati del Qatar - il cui emiro ha appena lanciato all'Assemblea generale dell'Onu un appello all'intervento armato dei Paesi arabi per mettere fine al ''bagno di sangue'' in Siria - ma che dimenticano le rivolte in Bahrein o Arabia Saudita. ''Quando sui media si parla di fosse comuni o di scudi umani - avverte Provvisionato, ricordando la storica 'bufala' delle fosse comuni in Libia - e' il caso di alzare le antenne, perche' vuol dire che si sta preparando un intervento armato''. Ma sulle ''rivoluzioni'' arabe gia' ''compiute'' rimangono tuttora molte questioni aperte. Per esempio, perche' mai gli Usa abbiano deciso di abbandonare consolidati alleati come Mubarak, per consegnare di fatto l'Egitto ad un movimento islamista, seppur ''moderato'', ma le cui effettive intenzioni rimangono ancora dubbie. I disordini di marca estremista e salafita di queste ultime settimane nel mondo arabo-islamico ''sono la reazione di quanti sono stati estromessi da questa alleanza tra Usa e islamici moderati'', ipotizza in proposito Macchi.
Ma ancora dalla Siria arriva la testimonianza di Tinazzi, che vi e' stato di recente. ''La situazione e' terribile - racconta - ed e' vero che ci sono molti combattenti stranieri, perche' e' stata invocata la Jihad. Ma questo piu' per disperazione, perche' i ribelli anti-Assad non riuscivano a farcela''. E ormai, conclude, ''ci sono troppo forze in campo, non c'e' forse piu' modo per intervenire''. (ANSAmed).