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Cinema: Amos Gitai a Roma, tra architettura, estetica e politica

Prossimo film insieme a Aharon Appelfeld, sarà su Memoria

05 marzo 2014, 12:27

Redazione ANSA

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Gitai all 'ultimo Festival di Venezia, il 3 settembre 2013 - RIPRODUZIONE RISERVATA

Gitai all 'ultimo Festival di Venezia, il 3 settembre 2013 -     RIPRODUZIONE RISERVATA
Gitai all 'ultimo Festival di Venezia, il 3 settembre 2013 - RIPRODUZIONE RISERVATA

(di Cristiana Missori) (ANSAmed) - ROMA, 5 MAR - Arriva a Roma per qualche ora per presentare una delle sue pellicole, Lullaby to my Father (2012), in occasione del quarto appuntamento del programma "Meeting Architecture", organizzato dalla British School at Rome-Accademia Britannica di Archeologia, Storia e Belle Arti, insieme all'Accademia di Francia a Roma-Villa Medici, e tesse parlando al pubblico una interessante trama tra politica, estetica e cinema. Amos Gitai (Haifa, 1950), è senza dubbio il regista israeliano più noto al mondo. Quarant'anni di carriera alle spalle, oltre 80 tra pellicole, corti e documentari all'attivo, dirigendo artiste del calibro di Juliette Binoche, Jeanne Moreau o Natalie Portman. La sua attività artistica ha preso una piega diversa da quella che si aspettava. Architetto sulla carta, con una laurea e un PhD a Barclay, California, ha passato una vita, o quasi, dietro la cinepresa. Il tutto avviene dopo la guerra del Kippur, nel 1973. Le cose cambiano al suo rientro dal fronte, come ha voluto ricordare ieri sera al termine della proiezione. Il suo amore per l'architettura continua però ad esprimerlo con i suoi lavori. In Lullaby to my Father - proiettato alla 69a Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia - Gitai racconta la storia di suo padre, Munio Weinraub, studente della facoltà di architettura e design della Bauhaus a Dessau, prima che Hitler la chiudesse nel 1933. "Ricordo - rammenta Gitai - che mio padre raccontava con molta nonchalance l'episodio. I tedeschi gli avevano spaccato i denti e lo avevano gettato in prigione prima di espellerlo e lui parlava della cosa minimizzando". Accusato di "tradimento del popolo tedesco" e incarcerato, Weinraub venne espulso dalla Germania. E dalla Svizzera, giunse in Palestina.

Come lui, tanti altri architetti. "L'architettura - sottolinea Gitai - rappresentava una minaccia ai regimi fascisti e nazisti. L'obiettivo era distruggere una scuola estetica".

Eppure, gli architetti fuggiti in Palestina negli anni Trenta "ebbero grandi opportunità. Con la loro architettura minimalista, realizzarono un vero e proprio golpe". Un "golpe" che ha portato a inizio degli anni 2000 l'Unesco a dichiarare la Città Bianca di Tel Aviv, con le sue centinaia di edifici in stile Bauhaus, Patrimonio dell'Umanità. Dopo il 1967, prosegue il regista, tutto cambia. "Dopo la guerra dei sei giorni l'architettura israeliana diventa più brutale, in particolare negli insediamenti, assumendo un vero e proprio stile coloniale britannico". L'architettura, sostiene Gitai, "non fa che seguire la politica". In molti suoi film Gitai ha scelto di scavare nelle stratificazioni della storia del Medio Oriente e oltre, incorporandovi tematiche personali, come madrepatria e esilio, religione, controllo sociale e utopia. Ai suoi lavori, fino a maggio, il Museo Reina Sofia di Madrid dedica una mostra (che a settembre approderà al Palazzo Reale di Milano) dal titolo "Le biografie di Amos Gitai", un progetto che punta ad avvicinare il pubblico ai personaggi, storie, territori, ritratti dal regista nella sua filmografia. Fino a luglio, invece, la Cinémathèque francaise di Parigi gli dedica una retrospettiva. Intanto lui guarda avanti. Il suo prossimo lavoro dovrebbe ultimarlo a giugno, anticipa. "Insieme allo scrittore israeliano Aharon Appelfeld, grande amico di Primo Levi, sto lavorando al mio prossimo film. Parlerà della Memoria".(ANSAmed).

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