E' questo il messaggio che giunge dall'incontro ''Politica di Vicinato e Giovani del Mediterraneo. Il ruolo della Mobilità e della Formazione'', in corso oggi e domani all'Università La Sapienza di Roma, organizzato in collaborazione con Unimed (Unione delle Università del Mediterraneo), Ambasciata di Francia in Italia e Istituto francese in Italia.
Un focus sulla situazione nel Bacino da cui emerge un elemento chiaro: sono ancora troppo pochi gli studenti che da Sud riescono a muoversi facilmente in Europa per iniziare o proseguire la loro formazione accademica. E dove sono ancora molti di meno quelli che dai Paesi dell'Unione scelgono il mondo arabo. Pochissimi, poi, gli studenti italiani nella regione Mena (Middle East and North Africa). ''Solo 6 studenti italiani studiano per esempio in Giordania'', ricorda Marcello Scalisi direttore esecutivo di Unimed. Il motivo principale - oltre alle difficoltà economiche - è la lingua. Troppo pochi anche quelli che dal mondo arabo giungono iin Italia per un periodo di studi.
''Il 30 per cento degli studenti della zona Mena emigra in Francia - sottolinea Scalisi - seguiti da una quota importante che sceglie gli Stati Uniti e il Regno Unito. Eppure, almeno in questo ambito almeno, l'Italia non detiene la maglia nera.
''E' un fenomeno che coinvolge un po' tutta l'Europa, sostiene Sultan Abu-Orabi, segretario generale delle Università arabe (Aua). ''Molti studenti arabi preferiscono volare verso gli Stati Uniti anziché studiare in Europa''. Un errore strategico e economico che i Ventotto stanno commettendo, afferma. ''L'Europa - avverte - ha bisogno di lavoratori di origini arabe, ora e soprattutto in futuro''. Senza dimenticare il giro d'affari generato dall'arrivo di studenti arabi che spendono per la loro istruzione e per vivere nel Paese ospitante. Come accade in America, ''dove il flusso dalla zona Mena ha portato miliardi di dollari''. Gli ostacoli principali, spiega Abu Orabi, sono linguistici (non sono poi molti gli atenei in grado di offrire interi corsi di laurea in lingua inglese), ma anche e soprattutto legati ai visti. ''Troppa poca mobilità ancora e troppe barriere'', conclude. Quel che è certo, sostengono in molti, è che li' dove diplomazia e politica hanno fallito per risolvere la crisi in atto nell'area, l'Università può dire la sua. ''Facendo entrare in gioco una diplomazia informale, fatta dagli accademici, che non hanno colore politico e non badano al credo religioso''. L'Italia ''è pronta a fare la sua parte'' e si ''impegna a non chiudere una porta sul Mediterraneo'', ha voluto ricordare nel suo intervento Federico Cinquepalmi, del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. (ANSAmed).
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