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Libri: Caferri racconta i 'Balotelli' dell'Italia che verrà

Viaggio tra seconde generazioni rivela anche diversi volti Paese

24 ottobre 2014, 17:22

Redazione ANSA

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La copertina del libro di Francesca Caferri - RIPRODUZIONE RISERVATA

La copertina del libro di Francesca Caferri -     RIPRODUZIONE RISERVATA
La copertina del libro di Francesca Caferri - RIPRODUZIONE RISERVATA

(Di Luciana Borsatti) (ANSAmed) - ROMA- Un viaggio nell'Italia che verrà. E' quello che Francesca Caferri, giornalista della Repubblica, compie tra i giovani del suo libro ''Non chiamatemi straniero'' (Mondadori, pp. 140, 17 euro). Giovani che non amano neanche le altre definizioni che si sono visti appiccicare addosso - seconde generazioni, nuovi italiani, generazione Balotelli - in quanto si sentono primariamente e autenticamente ''italiani''. Perché in Italia sono nati, sono andati a scuola, e condividono gli stessi interessi e problemi dei loro coetanei 'italiani doc'.

Ma per loro la questione della cittadinanza rimane un rebus burocratico e normativo che - nonostante gli appelli del presidente Napolitano e gli ultimi annunci del premier Renzi sul prossimo arrivo di una nuova legge sullo 'ius solis temperato' - sembra destinato a rimanere insoluto ancora per po'. Con i tanti esiti dolorosi e paradossali che la legge vigente, dal 1992, continua a produrre.

Figli degli stessi genitori che possono avere uno la cittadinanza e l'altro no. Oppure ragazzi come Josef detto Jojo, candidato sindaco virtuale alle ultime comunali a Roma: nato in Italia da madre eritrea, all'atteso raggiungimento dei 18 anni scoprì di non poter essere cittadino italiano solo perché non era stata registrata la sua residenza al momento della nascita. E dunque diventò in un attimo un clandestino.

L'autrice gira l'Italia per raccontarli, questi giovani italiani con gli occhi a mandorla o la pelle scura, o meglio: la gira perché a raccontarsi siano loro. E ne esce un caleidoscopio di storie: storie di successo per tanti che, proprio per essere partiti svantaggiati, hanno dimostrato di avere una marcia in più per raggiungere il loro obiettivo. Ma anche storie di difficoltà, delusione, rabbia, che qualcuno teme possa sfociare in fenomeni di violenza come nelle 'banlieues' di Parigi.

Sono racconti che ci riguardano tutti perché riflettono l'Italia di oggi, quella dei tanti campanili di un tempo che ora sperimenta invece tanti modelli diversi di accoglienza e integrazione. Dalla città-modello Reggio Emilia, un esempio anche in Europa, alla non lontana Treviso dell'ex sindaco-sceriffo Gentilini, e dove Tarek e Mohamed subito annunciano che "qui è tutta un'altra storia".

Dalla Prato dei cinesi che non vogliono spogliarsi della propria diversità alla Torino che vuole essere un altro esempio di buone prassi che funziona. E ancora, la Napoli dove "la gente se ne frega di te, non per cattiveria ma perché è un posto duro, dove tutti sono impegnati a sopravvivere". E la Roma "città dell'oblio e delle assoluzioni universali", dove le istituzioni fanno ancora poco, ma dove associazionismo e terzo settore possono produrre piccoli gioielli come l'asilo Celio Azzurro.

Eppure più volte amaramente si scopre, in questo viaggio tra gli "italiani di domani", che fra loro e gli italiani ''doc'' esiste anche un altro sentimento che conferma la comune appartenza: la stessa tentazione di partire, di lasciare un'Italia che a troppi giovani, qualunque ne sia l'origine, non sa più promettere un futuro. (ANSAmed).

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