Un mercato, quello musulmano, promettente e immenso che le case di moda occidentali non posso certo ignorare, ma dove scarseggiano brand interamente dedicati a questa fetta di consumatori. ''E dove non esiste - come nei settori della finanza islamica e del cibo halal (lecito) - una certificazione in grado di stabilire precisi criteri cui le imprese che intendono investire possano attenersi'', fa notare ad ANSAmed Gianmarco Montanari, direttore generale per lo sviluppo economico della città di Torino e promotore dell'iniziativa. Di questo e non soltanto, ''parleremo nel corso della tavola rotonda cui prenderanno parte rappresentanti della moda italiana, operatori internazionali della moda islamica, imprenditori e produttori''. Dopo il Turin Islamic Economic Forum dello scorso anno - primo incontro internazionale, ricorda, promosso da un'istituzione in Europa per approfondire i temi dell'economia e della finanza islamica - e quello della prossima settimana sulla moda, ''in ottobre ospiteremo quello dedicato al cibo halal''. A far capire che quella è la direzione giusta, sono i numeri. ''Tra i Paesi con il più alto numero di consumatori musulmani - sottolinea - secondo gli ultimi dati disponibili (2013), ci sono la Turchia (39,3 miliardi di dollari) gli Emirati Arabi Uniti (22,5 miliardi di dollari), l'Indonesia (18,8 miliardi di dollari), l'Iran (17,1 miliardi di dollari), Arabia Saudita (16 miliardi di dollari) e la Nigeria (14,4 miliardi di dollari). Da non sottovalutare, poi, la platea europea di fedeli: ''con Francia, Germania e Regno Unito che ha superato i 25 miliardi di dollari di consumi'', conclude Montanari. Nell'industria della moda islamica, spiega dal canto suo Alia Khan, presidente dell'Islamic Fashion and Design Council - organizzazione creata per lo sviluppo dell'industria della moda islamica nel mondo - esiste un vero e proprio vuoto da parte dei produttori occidentali. ''Poca consapevolezza e capacità di aggredire questo mercato ancora inesplorato, anche dalle aziende italiane''. A lanciare collezioni per il Ramadan - il mese sacro di digiuno - sono state nel tempo griffe come DKNY, ''la prima tra le grande firme a farlo'', seguita da case che alla donna musulmana hanno dedicato parte delle loro linee (''Valentino, Dolce & Gabbana, Prada, Victoria Beckham, Yohji Yamamoto e altri''). E anche marchi più popolari ''come Zara e Mango, che quest'anno hanno lanciato una propria Ramadan Collection così come H&M''. Ma non basta. Serve, rilancia Khan, ''uno studio più attento dei consumatori musulmani che non si sentono compresi al 100%''. Indubbio il problema della certificazione. Il suo organismo, rimarca, sta lavorando a un marchio ''iFash'' (Islamic fashion) che consenta ai brand intenzionati a investire nella moda islamica di ottemperare ad alcuni requisiti e fare in modo che i potenziali clienti sappiano dove rivolgersi per i loro acquisti che devono essere ''modest''. Al contrario di quanto sostengono alcuni, gli abiti alla maniera 'islamica' sono ricchi, pieni di stile e design e la domanda di questi è in continua ascesa. Ignorarlo sarebbe un errore. (ANSAmed).
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