Da un paio di settimane, il governo avrebbe fatto ricorso a mediatori semi-ufficiali per comunicare con i combattenti che scorazzano nella penisola desertica, e che da lì tentano d'infiltrarsi nel vicino Stato ebraico. Ma questo tentativo di diplomazia fa storcere il naso a più d'uno in Egitto, nella convinzione che lo Stato non dovrebbe negoziare con estremisti sospettati di azioni violente. Nizar Ghorab, ex parlamentare salafita, guida la campagna del dialogo. In un'intervista ad Al Ahram, l'uomo ha confermato che ci sono stati «diversi incontri» con i gruppi islamisti del Sinai, e ha aggiunto: «Io e altri come me abbiamo conosciuto questa gente in prigione durante il passato regime. Abbiamo stima gli uni degli altri. Questo ci consente di mantenere aperta la comunicazione e di affermare che questi gruppi, inclusi quanti hanno imbracciato le armi, non avranno più motivo di opporre resistenza al nuovo governo, che noi supportiamo.
Inoltre - ha aggiunto il mediatore - abbiamo appurato che loro non c'entrano nulla con l'attacco di Rafah, che invece è stato architettato da agenti esterni infiltrati, forse dal Mossad». Ma questo versione non convince l'esercito, che ha annunciato nuovi dispiegamenti tattici a breve. Negli ultimi giorni, in coincidenza con la festività musulmana del Sacrificio, le operazioni erano state interrotte, attirando le critiche dei fautori egiziani della tolleranza zero nei confronti dei combattenti del Sinai. «L'Operazione Aquila non è stata archiviata. Lasceremo il Sinai solo a lavoro ultimato», li hanno però rassicurati i militari. Dichiarazioni che, secondo un ex alto dirigente dell'intelligence egiziana (coperto dall'anonimato), significano una cosa sola: «Il Sinai verrà posto sotto assedio. Si tratta di un'operazione di lungo termine. Il dialogo con gli islamisti? E' una cortina di fumo». (ANSAmed).