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Tunisia:famiglie martiri rivoluzione criticano governo

E chiedono pubblicazione lista definitiva vittime

11 gennaio 2019, 14:13

Redazione ANSA

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© ANSA/EPA

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TUNISI - A otto anni dalla "Rivoluzione del gelsomino" le famiglie dei martiri e i feriti della rivoluzione tunisina attendono ancora dalle autorità la pubblicazione della lista definitiva delle vittime. Per questo motivo, dopo anni di rimostranze che non hanno portato a risultati tangibili, hanno scelto ancora una volta di protestare, scendendo in strada e criticare il governo per il ritardo eccessivo nel trattamento di questa delicata questione.

"Il governo ci ignora e ha voltato le spalle ai nostri martiri e feriti" dichiarano le famiglie delle vittime, chiedendo instancabilmente la pubblicazione dell'elenco finale dei martiri e dei feriti della Rivoluzione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica di Tunisia. Ed evidenziando la mancanza di volontà politica e il silenzio del governo sulla vicenda.

L'approssimarsi dell'ottavo anniversario della Rivoluzione, il 14 gennaio, dà però alle famiglie delle vittime una speranza.

Nel marzo 2018 il Comitato per i diritti umani e le libertà fondamentali (Csdhlf) ha presentato il suo rapporto e l'elenco finale dei martiri e feriti della rivoluzione alla presidenza della Repubblica, alla presidenza del Parlamento e al governo, ma da allora ancora nessuna lista definitiva è stata pubblicata.

"Le famiglie hanno compiuto diverse azioni per la pubblicazione dell'elenco definitivo dei martiri e dei feriti della rivoluzione, ma la mancanza di volontà politica e la negazione della rivoluzione da parte dei politici e la prevaricazione delle autorità al potere hanno compromesso la pubblicazione di questo elenco", ha dichiarato Samia Mhimdi, sorella del martire Hichem Mhimdi.

Questa lista è una carta da gioco per esercitare pressioni politiche e la sua non pubblicazione ha permesso ad alcuni di sfruttare il dossier dei martiri e feriti della Rivoluzione per i propri interessi, ha aggiunto Samia Mhimdi.

"Il Csdhlf è vincolato dalla legge a pubblicare questo elenco ma i timori lo hanno paralizzato e nel farlo ha perso l'opportunità di passare alla storia".

Per l'avvocato difensore dei martiri e feriti della Rivoluzione, Leila Haddad, la responsabilità dei politici in questa vicenda è indiscutibile: "Pubblicare la lista finale significa riconoscere la rivoluzione e riabilitare i suoi eroi, ma i leader politici al potere, che per la maggior parte di loro apparteneva al regime estromesso, non vogliono dare questo riconoscimento ai rivoluzionari".

L'avvocato della parte civile ha anche messo in discussione l'atteggiamento del Presidente della Repubblica, che, ricorda, ha rifiutato di esercitare il diritto di pubblicare tale lista, mentre ha usato tutta la sua influenza per garantire l'adozione della legge sulla riconciliazione nazionale, a beneficio dei notabili del passato regime.

Il presidente del Csdhlf, Taoufik Bouderbala, ha precisato che "il primo ministro che è l'unica parte legalmente autorizzata a pubblicare l'elenco nella Gazzetta Ufficiale.

Tuttavia, semplicemente non ha applicato la legge".

Il Comitato non è in grado di pubblicare unilateralmente l'elenco dei martiri e dei feriti della rivoluzione anche se il procedimento è completato, a partire dalla preparazione della lista e dalla sua consegna alla Presidenza della Repubblica, alla presidenza del Parlamento e al Primo Ministro, perché la lista deve essere per legge pubblicata sulla Gazzetta ufficiale.

Secondo Yamina Zoghlemi, vicepresidente della commissione per i martiri e ferita della rivoluzione e della giustizia di transizione, la pubblicazione dell'elenco non è solo responsabilità del primo ministro, ma dipende anche dall'esistenza di garanzie e da un clima politico stabile.

"L'elenco è pronto, ma la sua pubblicazione richiede gli sforzi congiunti di tutte le parti, organizzazioni e sindacati per spingere il governo compiere quest'azione" ha detto Zoghlemi.

Si calcola che siano diverse centinaia le vittime e i feriti nel periodo che va dal 17 dicembre 2010 ed il 14 gennaio 2011, durante i giorni della sollevazione popolare che costrinse l'allora presidente Ben Ali alla fuga in Arabia Saudita.

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