(ANSAmed) - STRASBURGO, 16 APR - Gli stati non devono
utilizzare le politiche d'integrazione come strumento per
regolare i flussi migratori, ma per assicurare che migranti e
rifugiati possano godere dei loro diritti e libertà
fondamentali. Sono le conclusioni del rapporto del
rappresentante speciale del segretario generale del Consiglio
d'Europa per la migrazione e i rifugiati Tomas Bocek, dove
vengono esaminate le politiche d'integrazione di 11 stati membri
tra cui l'Italia, e i loro effetti sui diritti di migranti e
rifugiati.
Gli altri Paesi analizzati sono Danimarca, Francia, Germania,
Grecia, Ungheria, Portogallo, Svezia, Turchia, Russia e Gran
Bretagna. La valutazione delle politiche d'integrazione si
concentra sui requisiti che i rifugiati già nel Paese o che
chiedono il ricongiungimento familiare devono soddisfare. Questi
vanno dal dover dimostrare un certo livello di reddito alla
conoscenza di lingua, usi e costumi, storia e leggi del Paese.
"Le politiche che impongono l'obbligo di conoscere la lingua e
di avere altre conoscenze sono quelle che pongono più sfide dal
punto di vista del rispetto degli standard sui diritti umani",
avverte Bocek, secondo cui i percorsi di apprendimento non
dovrebbero condizionare la permanenza o l'arrivo in un Paese ma
essere volontari e possibilmente gratuiti. Per quanto concerne
gli altri requisiti, come quello di un reddito minimo, Bocek
sottolinea la necessità che siano "proporzionali" e non
costituire un ostacolo insormontabile. (ANSAmed).
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