(di Chiara Rancati) (ANSAmed) - PARIGI - Prenderà presto il via il primo processo per i crimini commessi dalle milizie durante la guerra civile algerina degli anni Novanta. Ma ad ospitarlo non sarà il tribunale di Algeri o di Orano, ma quello di Nimes, nel sudovest della Francia, dove sono chiamati a comparire davanti al giudice Hocine e Abdelkader Mohamed, ex comandanti di un gruppo armato rifugiatisi Oltralpe nel 1998.
"E' la prima volta che degli algerini vengono processati per crimini commessi nel 'decennio nero' dell'Algeria - commenta il presidente della Federazione internazionale per i diritti dell'uomo, Patrick Baudouin - speriamo che questo processo marchi una svolta cruciale nella lotta all'impunità che avvolge questi crimini".
I due imputati, che sono fratelli, erano stati denunciati proprio dalla Fidh, insieme alla Lega per i diritti dell'uomo (ldh) e al Collettivo delle famiglie degli scomparsi in Algeria.
Nel 2004 sono stati messi sotto inchiesta, e oggi formalmente incriminati, atto contro cui la loro difesa ha già annunciato un ricorso. Sono accusati di aver guidato per anni le milizie attive nella regione di Relizane, a ovest di Algeri, e di aver ordinato, ma anche commesso in prima persona, aggressioni, stupri ed esecuzioni sommarie, e di aver organizzato numerose sparizioni, di persone che in alcuni casi non sono mai state ritrovate. Secondo diversi testimoni, i due non facevano mistero del proprio ruolo, anzi "agivano a viso aperto, cosa che oggi permette di identificarli con certezza", ed erano orgogliosi di mostrarsi capaci di mettere la regione a ferro e fuoco.
Processarli in Algeria non sarebbe stato possibile, perché la Carta per la pace e la riconciliazione approvata nel 2005, che ha disposto l'aministia per gli islamisti che avevano abbandonato la lotta armata consegnandosi alle autorità, blocca anche sostanzialmente ogni nuovo procedimento giudiziario sui crimini commessi durante la guerra civile. La Francia, invece, è tenuta a processare i due ex miliziani, perché con l'adesione alla Convenzione internazionale contro la tortura si è formalmente impegnata ad arrestare e perseguire tutti i presunti colpevoli di tortura che risiedano sul suo territorio, indipendentemente dalla loro nazionalità e da dove si sono svolti i fatti di cui sono accusati. (ANSAmed).