Era il 1975 quando oltre 350 mila tra uomini e donne della società civile si radunarono a Tarfaya, estrema provincia occidentale per marciare pacificamente verso il deserto, nei territori fino a quel momento occupati dagli spagnoli. I manifestanti reggevano bandiere del Marocco e indossavano striscioni verdi, per questo quella marcia passò alla storia come 'la marcia verde'. Il 6 novembre, anniversario dell'evento, in Marocco è festa nazionale, con tanto di discorso del re.
Negli ultimi due anni, con il rientro del Marocco nell'Unione africana, re Mohammed VI ha moltiplicato gli sforzi per assicurarsi il sostegno alla causa del resto del continente.
Inoltre la Lega araba ha garantito la sua solidarietà anche con la presenza diplomatica di Barhein, Qatar, Oman e Giordania.
C'è chi - tra i detrattori del Marocco - dice che quelle sedi diplomatiche sorte come funghi non sarebbero che porte chiuse, poco più che bandierine di un risiko che appassiona re Mohammed VI.
Quel che è certo è che l'apertura del consolato statunitense a Dakhla, deciso nelle ultime ore dal presidente Donald Trump, amplifica le prospettive di nuovi possibili investimenti, in particolare da parte degli Usa. Sul tema energetico per esempio, pende un progetto da 16 miliardi di dollari, approvato dall'ex presidente Obama per elettrificare il continente. E il Marocco punta a diventare l'hub energetico tra Africa e Europa.
Non mancano poi i progetti faraonici per riqualificare la zona, come quello del polo museale del deserto a Dakhla, affidato all'archistar marocchino Omar Kubbité, con oltre 4mila metri quadrati di spazio dedicato alla cultura viva delle dune. Oltre all'apertura di una facoltà di medicina su una superficie di 10 ettari, con annesso centro ospedaliero universitario, che potrà garantire 500 posti letto.(ANSAmed). (ANSA).