(di Nadira Sehovic) (ANSA) - SARAJEVO, 8 LUG - Sono più di novemila, di età varia dai 5 ai 75 anni, i partecipanti alla Marcia per la pace, partiti stamani dal villaggio di Nezuk, nei pressi di Tuzla, per percorrere a ritroso la 'via della morte' sulle orme dei 15.000 uomini e ragazzi che, attraverso i boschi, cercarono la salvezza a Tuzla, zona sotto il controllo delle forze governative, dopo la conquista di Srebrenica da parte della truppe serbe al comando del generale Ratko Mladic. Mentre gli anziani, le donne e i bambini piccoli, consegnati ai carnefici dai caschi blu olandesi, venivano deportati, i disperati in marcia verso Tuzla furono costantemente bombardati dall'artiglieria serba, uccisi nelle imboscate o sterminati in altre località dopo essersi arresi agli uomini di Mladic. Tra i sopravvissuti Fatima Agic, fuggita per i boschi col marito Hasib e i due figli, Sead e Mirsad, tutti d'accordo che "se dobbiamo morire, moriremo insieme". Ma alla prima sparatoria si persero e Fatima rimase sola. C'erano morti tutto intorno e lei comincio' a cercare tra i corpi: uno sembrava proprio il suo Sead e gli rimase seduta accanto per quattro giorni. Ad un certo punto capi' che le scarpe del ragazzo morto non erano quelle di suo figlio e riprese il cammino. Confusa e disorientata non sapeva in che direzione andare. In un bosco incontro' un giovane che le chiese di recitare una preghiera,in arabo, per accertarsi che fosse musulmana. "Ma io - racconta Fatima - non sapevo nemmeno il mio nome, gli dissi che stavo con i miei figli ma che li avevo perduti". Allora il giovane le indico' dove avrebbe trovato un gruppo di 12 uomini, e con loro continuo' a vagare per i boschi perché nessuno sapeva la strada. Continuamente incappavano in imboscate: "Sparano, tu scappi, cerca di salvarti, corri sopra i morti senza vederli", racconta Fatima che portava con sé un vecchio fucile e una bomba a mano, intenzionata a uccidersi prima di essere fatta prigioniera.
Cercavano, ricorda, di camminare di notte, "ma quando entri nel bosco non vedi l'albero, non vedi il cielo: se non ti tieni per mano, ci rimani". Fatima ricorda poi i ragazzi che avevano le allucinazioni causate dalla fame, i feriti dissanguati e tanti che si arrendevano e venivano uccisi. Arrivo' dopo 13 giorni a Kladanj, il figlio Sead era già lì, mentre il marito impiego' 66 giorni per arrivare alla libertà. Il secondo figlio, invece, è rimasto per sempre nei boschi intorno a Srebrenica. "Vorrei solo che il mio Mirsad fosse vivo, anche senza vederlo mai, mi basterebbe saperlo vivo", dice Fatima che a Srebrenica ha perso anche un fratello, il padre e due cognati che avevano cercato di salvarsi nella base dei caschi blu dell'Onu, a Potocari. (ANSA) Y0K-QN/ S0A QBXB