Ahmed Maher, Mohamed Adel, Ahmed Douma e il celebre blogger Alaa Abd el-Fatah sono finiti in carcere con l'accusa di aver organizzato dimostrazioni non autorizzate lo scorso novembre e dicembre, per protestare contro la contestata legge approvata dal governo ad interim che inquadra il diritto a manifestare entro regole giudicate "liberticide" dai detrattori.
"Non è stato consentito loro, in queste settimane, di vedere i propri familiari né tantomeno i legali", denuncia in una conversazione con l'ANSA Nasser Amin, un avvocato per i diritti umani celebre in Egitto per essere stato il primo a incontrare Mubarak in cella, così come il deposto presidente islamico Mohamed Morsi. Quelli del 6 Aprile "sono confinati in cella d'isolamento, hanno diritto a solo due ore d'aria al giorno, non possono scrivere e sono connessi con l'esterno solo grazie a una piccola radio", aggiunge il legale, convinto che queste siano "violazioni" delle regole carcerarie e che la loro situazione detentiva sia "pessima".
Amin, assieme a una delegazione del National Council for Human Rights, li ha incontrati in questi giorni: "E' stata la prima visita che hanno ricevuto". "Potrà sembrare paradossale, ma sono trattati peggio dei leader dei Fratelli Musulmani", aggiunge Amin, pur concedendo alle istituzione carcerarie del Paese di aver "fatto un passo avanti rispetto agli anni passati". La sezione statunitense di Amnesty ha lanciato una campagna per chiedere la liberazione di Maher, Adel, Douma e el-Fatah (noto nel Paese come "Alaa di Tahrir"), invitando gli aderenti - tra l'altro - a scrivere una lettera di protesta al procuratore generale egiziano.
Anche Amr Mussa, l'ex segretario generale della Lega Araba che ha presieduto la commissione incaricata di stilare il testo costituzionale in queste ore al vaglio degli elettori, si è speso per la liberazione loro e di 40 attivisti arrestati a novembre: senza tuttavia ottenere successo.
Condannati a 3 anni di carcere in prima istanza, dovranno comparire in tribunale il 22 gennaio per l'appello. Nelle strade intanto l'aria è cambiata: quelli del 6 Aprile, che non hanno nascosto le proprie critiche ai militari dopo lo sgombero forzato e sanguinoso di Rabaa e Nahda, le due piazze simbolo dei sostenitori del presidente deposto Mohamed Morsi, vengono chiamati "i 6 diavoli": perché accusati di aver stretto un patto 'diabolico' con i Fratelli Musulmani.
"In Egitto oramai c'è quella che in Italia credo chiamiate maggioranza silenziosa - spiega un attivista in libertà che chiede l'anonimato -. Se critichi i militari ti accusano di essere pro-Morsi, e quindi di essere un terrorista. Se critichi i pro-Morsi ti accusano di essere un golpista con le mani insanguinate. E' naturale che molti abbiano scelto il silenzio, e di non votare questa Costituzione che segna un ritorno a quel passato che abbiamo combattuto". (ANSAmed).