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Libano: Abaad,violenza su donne si vince con aiuto religiosi

Ad Assuan,associazione libanese racconta abusi in campo profughi

24 febbraio, 15:32

(di Cristiana Missori) (ANSAmed) - ASSUAN, 24 FEB - ''Per combattere contro la violenza di genere in Libano la carta vincente è coinvolgere i leader religiosi. Ottenere un loro coinvolgimento funziona mille volte in più di una qualsiasi campagna a livello nazionale''.

Pensare ''che il Libano sia Achrafieh o Hamra, quartieri alla moda, aperti e cosmopoliti di Beirut è un errore''. A parlare è Ghida Anani, fondatrice e direttrice di Abaad, associazione libanese che dal 2011 si batte per i diritti delle donne e contro la violenza di genere. ''Violenze di ogni tipo - racconta ad ANSAmed a margine dell'Aswan International Film Festival (fino al 26 febbraio) - che subiscono le donne libanesi, ma anche straniere, in particolare le collaboratrici domestiche: stupri; abusi sessuali; violenze fisiche e psicologiche; crimini d'onore; matrimoni forzosi, fino a quelle di tipo economico. Ci sono uomini che spingono le mogli a prostituirsi o che requisiscono i loro stipendi, impedendo loro di essere indipendenti''. Sono migliaia, spiega, le donne che si rivolgono ai centri di ascolto messi a disposizione dalle 10 associazioni libanesi che su tutto il territorio nazionale offrono soccorso alle donne vittime di violenze o abusi. ''Ogni settimana - fa sapere - una donna su tre denuncia alla polizia di avere subito una violenza sessuale; una donna ogni 3 mesi decide di togliersi la vita''. Le statistiche, tuttavia, non riflettono la realtà perché, rimarca, ''in poche hanno il coraggio di denunciare, perché la difesa dell'onore della famiglia, spinge molte a rimanere in silenzio''.

La società libanese, prosegue Anani, è patriarcale. ''In 30 anni di lavoro per combattere contro il fenomeno della violenza contro le donne in Libano non si è arrivati a nulla. Gli abusi di genere, non sono calati nemmeno dello 0,1%''. Per questo serve un approccio multidimensionale. ''Abaad - appunto - vuol dire dimensione'', spiega la 34enne da cui dipendono 8 centri d'ascolto in tutto il Paese. ''In una società multiconfessionale come quella libanese, il coinvolgimento dei leader religiosi è dunque fondamentale''. Studi che scattino una fotografia della situazione all'interno delle singole comunità religiose sono stati portati avanti ''ma mai pubblicati per scelta. Il risultato potrebbe essere esplosivo'', afferma. ''Tre anni fa abbiamo avviato una campagna insieme al Muftì del Libano. Dopo la sua dichiarazione di condanna, molte donne sunnite hanno avuto il coraggio di denunciare gli abusi subiti. Di lì, ci siamo resi conto di quanto le donne di quella comunità stessero soffrendo''. Da tempo, prosegue, ''lavoriamo con il Patriarca maronita, il card. Bechara Rai''. Con la comunità sciita, ammette, ''la situazione è molto difficile. Danno retta solo alla guida suprema degli sciiti iracheni, Ali Al sistani o a Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah''. Fra le battaglie portate avanti da Abaad, quella per l'abolizione dell'art. 522 del codice penale libanese che dal 1948 consente di ricorrere al 'matrimonio riparatore', non soltanto in caso di stupro, ma anche di molestie e violenza sessuale perpetrati su minori e persone con disabilità fisica o mentale e di chiunque si trovi in una posizione di debolezza.

''Oggi manca il voto all'Assemblea parlamentare, ma di qui a un mese forse ce la dovremmo fare''. Ad Assuan Abaad ha presentato un documentario, 'Ana Ahlam' (io sono Ahlam), girato nel campo profughi palestinese di Ein El Helweh, alla periferia di Beirut, e finanziato dall'Unrwa. A raccontare la propria storia di violenza e abusi da parte del marito, scelto dalla sua famiglia, è Ahlam. ''Una donna che ha scelto di mettere la propria faccia affinché altre donne trovino il coraggio per uscire dal loro buco nero''. (ANSAmed).

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