Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, ha invitato i 57 Paesi membri dell'Organizzazione della cooperazione islamica (Oic) a riunirsi tra una settimana (il 13 dicembre) a Istanbul per un summit straordinario, ha reso noto il suo portavoce, Ibrahim Kalin. Quest'ultimo ha spiegato che Erdogan ha avuto in queste ore contatti telefonici con il suo omologo palestinese Abu Mazen e i leader di Iran, Arabia Saudita, Qatar, Tunisia, Pakistan, Indonesia e Malesia.
La decisione del'amministrazione americana "sarà la causa di un'indignazione nel mondo islamico" e "farà saltare le fondamenta della pace e scatenerà nuove tensioni e scontri", ha sottolineato il presidente turco ad Ankara in una conferenza stampa congiunta con re Abdallah II di Giordania, in visita ufficiale per il 70/mo anniversario delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi.
Nasser al Qidwa, dirigente di al Fatah, ha annunciato che il palestinesi intendono ricorrere alle Nazioni Unite contro una scelta che "viola la legge internazionale" e costituisce un "attacco ai diritti nazionali dei palestinesi".
I leader cristiani di Gerusalemme in una lettera congiunta inviata al presidente americano scrivono che dichiarare Gerusalemme capitale dello Stato ebraico "aumenterà l'odio, il conflitto, la violenza e le sofferenze a Gerusalemme e in Terra Santa".
In Iran la Guida suprema, ayatollah Ali Khamenei, ha dichiarato che "la Palestina sarà liberata. La comunità palestinese e quella musulmana vinceranno".
Intanto, malgrado l'ondata di maltempo, in diverse località di Gaza e della Cisgiordania nel primo dei "tre giorni di collera" proclamati ieri da tutte le fazioni palestinesi, sono stati organizzati oggi cortei di protesta contro la decisione di Trump. L'agenzia di stampa palestinese Wafa precisa che a Gaza migliaia di persone si sono raccolte nella piazza del milite ignoto dove hanno scandito slogan ostili agli Stati Uniti. Sul web sono comparse immagini di bandiere americane date alle fiamme. Ad Amman di fronte all'ambasciata israeliana si è tenuto un sit-in di protesta.
Note di preoccupazione intanto arrivano anche dalle cancellerie europee e dal Giappone. L'Alto rappresentante Ue per la politica estera, Federica Migherini ha rassicurato il presidente palestinese, Abu Mazen, che la posizione europea non cambia: lo status finale di Gerusalemme come capitale futura di entrambe gli stati, "sia decisa con negoziati che soddisfano le aspirazioni delle parti". Posizione analoga a quella ribadita dalla premier britannica Theresa May, il destino della città santa alle tre religioni monoteiste può essere definito solo "attraverso un accordo negoziato fra israeliani e palestinesi" e "in ultima analisi deve diventare capitale condivisa dello Stato d'Israele e d'uno Stato palestinese". (ANSA).