La ''purezza'' dei 'tifosi' invoca la difesa del 'carattere ebraico' della squadra, contro la decisione del proprietario - il controverso uomo d'affari israelo-russo Arkadi Gaidamak - di ingaggiare due calciatori russi del Tarek Grozny, originari della Cecenia ed entrambi musulmani. Esposto allo stadio Teddy di Gerusalemme, lo striscione, lungo una ventina di metri, e' stato sostenuto per tutti e 90 i minuti della partita da decine di teppisti. Nessuno lo ha rimosso: ''70 anni di principi vanno difesi'', hanno rincarato ieri i duri e puri della tribuna est, quella degli irriducibili di un tifo facinoroso, legato da sempre a slogan nazionalisti e protagonista di ripetuti episodi di violenza.
Ieri durante la partita con il Bney Yehuda, quegli ultras hanno anche intonato i consueti cori anti-arabi, che la direzione dello stadio ha provato a soffocare diffondendo musica a tutto volume. Ma oggi la loro provocazione e' diventata ugualmente di dominio pubblico: sulla stampa, nel mondo politico, nelle conversazioni nei locali pubblici. Amplificata dalla concomitanza con la Giornata internazionale della Memoria (anche se in Israele il ricordo viene osservato in un giorno diverso rispetto al resto del mondo, ad aprile) e dal fatto che il messaggio di sapore razzista era stato esposto su stoffa gialla: la stessa che fu imposta dai nazisti agli ebrei.
Legato storicamente al Likud, il partito di governo guidato da Benyamin Netanyahu, il Beitar Gerusalemme conta fra i suoi capi tifosi esponenti della estrema destra che in passato piu' volte si sono macchiati di espressioni xenofobe o razziste: dalla declamazione di slogan eversivi ('Morte agli arabi' o cose simili) fino a pestaggi di palestinesi trovatisi nelle vicinanze dello stadio al termine delle partite. Episodi sempre denunciati, con forza, dagli stessi vertici ufficiali del Likud.
Anche oggi, fra i primi a esprimere disgusto vi e' stato il presidente della Knesset, Reuven Rivlin. ''Gli appelli per un Beitar basato su una 'purezza etnica ebraica' sono oltraggiosi'', ha esclamato Rivlin, figura di lungo corso del Likud e della destra israeliana, piu' afflitto che sorpreso.
Un'altra esponente del partito, la ministra per lo sport Limor Livnat, ha invocato misure punitive immediate per il club da parte della polizia e della Federazione calcio. Ma i dirigenti del Beitar Gerusalemme si dicono essi stessi vittime degli ultras. ''Quelli sono canaglie, vengono allo stadio per provocare, il calcio non interessa loro affatto'', ha sostenuto Moshe Dadash, ex presidente della squadra. Come combatterli? Inviando in tribuna centinaia di agenti in borghese incaricati di fotografarli, identificarli e arrestarli, ipotizza Dadash.
Da parte sua lo storico Moshe Zimmerman, un esperto di storia tedesca, ha rilevato come in altre societa' il razzismo si sia manifestato dapprima proprio in eventi sportivi (''dove corpo tocca corpo'') per poi passare ad altri campi. In Germania un allenatore di calcio ebreo fu rimosso per pregiudizi razziali prima ancora dell'avvento al potere di Adolf Hitler e sportivi ebrei furono espulsi prima che analoghe misure punitive fossero adottate contro professori o intellettuali. In Israele come altrove - ha aggiunto Zimmerman - lo sport del resto funge da area di emancipazione per le minoranze e, ad esempio, calciatori arabi trovano spazi e consensi che altrove stentano a cogliere.
''Proprio il rapporto con lo sport la dice lunga su una societa' e sul suo livello di razzismo'', ha avvertito l'accademico.
Intanto la polizia di Gerusalemme e' costretta a rafforzare le misure di sicurezza: martedi', al Teddy, il Beitar avra' infatti di fronte il Maccabi Um el-Fahem, squadra di una citta' araba d'Israele dove forte é il Movimento islamico. (ANSAmed).