Poi il capitolo Medio Oriente. Israele ha eccellenti rapporti bilaterali con la maggior parte dei paesi europei, spiega, ma quando dialoga con l'Europa presa nel suo insieme, questa usa "il minimo comune denominatore, e abbiamo un problema".
"Quando parliamo bilateralmente i nostri rapporti con la vasta maggioranza dei paesi europei sono eccellenti, tutti vogliono buoni rapporti commerciali, nel campo della ricerca, anche nel settore dell'energia, ora che si è scoperto il gas in Israele - dice il diplomatico - Ma quando trattiamo con l'Europa collettivamente, c'è un problema. Noi pensiamo che l'Europa non sia imparziale, vuole predeterminare il risultato dei negoziati con i palestinesi. Negli ultimi quattro anni ha dato premi ai palestinesi, le chiamano compensazioni, mentre loro erano fuori dal negoziato. L'Europa parla di confini del 1967, dello scambio di terre, e di Gerusalemme est come capitale palestinese. Non c'è uno stato palestinese e loro ne parlano cosi. Se continuano a premiarli, non hanno necessità di tornare al negoziato". Per Gilon, ci sono molte sfide al negoziato di pace in Medio Oriente. "All'inizio, c'è stata la costruzione della fiducia, ma col tempo questa fiducia s'è persa, tra i due popoli, tra le due leadership. E ora dev'essere ricreata - osserva - Quando iniziammo, c'era una sola entità: adesso c'è Gaza, e dovremmo parlare non di una soluzione con due stati, ma una con tre. Se facciamo un accordo con la Cisgiordania, che facciamo con Gaza.
Inoltre, l'instabilità nella regione non aiuta; l'Occidente è più debole, a causa della crisi economica, e ci sono state molte guerre nel frattempo. Abbiamo tutti gli ingredienti per la pace, ma resta da vedere se riusciremo a cucinare qualcosa di buono" Chiediamo se anche gli insediamenti possono essere considerati un ostacolo alla pace. "Abbiamo provato in passato che gli insediamenti non sono un ostacolo. Quando ce ne siamo andati dal Sinai, li abbiamo rimossi. Quando abbiamo lasciato Gaza, abbiamo portato via oltre 10.000 persone e smantellato oltre venti insediamenti. E come risposta, sono aumentati i lanci di razzi su Israele. Quello è un altro ostacolo: i cittadini israeliani hanno visto quella reazione, e dicono, non vogliamo la stessa cosa dalla Cisgiordania. Con i confini del 1967 praticamente tutta Israele sarebbe nella gittata dei razzi.
L'esperienza del passato, non gli insediamenti, è un ostacolo". Infine le relazioni con l'Italia, che sono "eccellenti, non ci sono cambiamenti legati ai diversi governi. Faccio un esempio: l'anno scorso, l'export italiano verso Israele è stato del 15% in più rispetto all'anno precedente, e questo durante una crisi economica. Cooperiamo nella ricerca, nella cultura e in altri campi, come il turismo. Nell'ultima stagione, tra i 350 e 400.000 israeliani hanno visitato in Italia, è il 4-5% della popolazione israeliana. Il legame va oltre i governi, e tra paesi e popoli, e questa è la sua forza".
Per Gilon, il governo italiano è particolarmente attento ai fenomeni di antisemitismo, e in generale a tutte le minacce contro le minoranze, che crescono in tempo di crisi. "Il presidente Napolitano è stato tra i primi a parlare con forza contro l'antisemitismo, anche quello mascherato che dice, 'non sono antisemita, sono antisionista'". (ANSAmed).