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Tratta esseri umani, il ciclo infernale che passa dal Sinai

A migliaia in 'case tortura' nel deserto, affare da 600 milioni

11 dicembre, 19:28

(di Luciana Borsatti) (ANSAmed) - ROMA, 11 DIC - Il ragazzo sulla copertina si chiama Berhan: aveva solo 15 anni quando lasciò l'Eritrea, a 16 si ritrovò in una 'casa di tortura' nel Sinai, come migliaia di altri come lui quotidianamente torturati e violentati per estorcere alle famiglie il prezzo del riscatto (per lui furono pagati 38 mila euro). Da qui finì in una prigione egiziana dove avrebbe dovuto pagare lui stesso il rimpatrio forzato. Cosi' scappo' in Libia, nei cui campi di detenzione trovò altri strupri e torture. E allora si imbarcò sul quel barcone affondato il 3 ottobre a Lampedusa, dove morirono 366 eritrei.

La sua storia è un esempio del ciclo senza uscita del traffico umano di cui parla il rapporto "The Human Trafficling Cycle: Sinai and Beyond", presentato oggi a Roma alla Camera dalle autrici - la docente universitaria Miriam van Reisen, la giornalista Meron Estefanos e la presidente dell'ong Gandhi, Alganesh Fissehaye - insieme a don Mussie Zerai dell'agenzia italiana Habeshia e dal deputato Emilio Ciarlo (Pd).

Un ciclo in cui i rifugiati restano intrappolati per anni: soprattutto eritrei (in 5000 fuggono ogni mese, secondo la Cia) spesso rapiti nei campi profughi in Etiopia e Sudan, venduti e rivenduti dai trafficanti - spesso con complicità impunite negli apparati di sicurezza - e sequestrati nel Sinai come merce da riscatto. Qui, per spingere familiari e amici a pagare cifre sempre piu' alte per la loro liberazione, sono sistematicamente torturati e struprati in diretta telefonica, così che da casa possano sentire le loro urla. E se muoiono le famiglie non lo sanno, così pagano lo stesso. Nel rapporto si parla di 25-30 mila persone vittime del traffico in Sinai tra il 2009 e il 2013 - tra morti, scomparsi, sopravvissuti o detenuti. Della loro compravendita si occupano i beduini del Sinai, che hanno trasformato in business organizzato - 600 milioni di dollari in cinque anni, si calcola nel rapporto - i primi casi di migranti in fuga aiutati a raggiungere il confine di Israele per qualche centinaio di dollari a testa. Ma - dice Alganesh Fissehaye, che vive a Milano ma si reca spesso in Egitto - molti elementi fanno pensare a importanti complicità a Gaza - collegata con i tunnel scavati sotto la frontiera di Rafah - e con le milizie jihadiste che stanno seminando il caos nel Sinai. Jihadisti ora in guerra con le nuove autorità egiziane, che con i loro attacchi ai miliziani finiscono per disturbare anche un traffico rimasto sostanzialmente "ignorato", dice, sia dal'ex presidente Morsi che dal predecessore Mubarak.

La sua ong Ghandi, racconta, ha finora liberato dalle carceri egiziane 1800 detenuti ed è riuscita a liberare 400-500 profughi dalle 'case di torture' con l'aiuto di un sheikh salafita del posto, Awwad Mohamed Ali Hassan, "che i trafficanti sanno di non poter colpire, mentre io sono stata piu' volte minacciata".

L'Egitto è uno dei Paesi chiamati in causa dal rapporto: ha adottato una legge contro il traffico, ma i trafficanti restano impuniti e i sopravvissuti non hanno accesso alle procedure di asilo. Israele, che ha eretto una barriera sul confine, adotta una linea di "violenti respingimenti" in territorio egiziano o richiude i profughi in "stabilimenti aperti" nel deserto.

In Libia, oltre alle violenze dei campi di detenzione, non vi è alcun accesso a consulenza legale per i richiedenti asilo: tanto che è ora, sottolinea Ciarli, che si rivedano con Tripoli gli accordi del passato, che si aggiornino le norme in materia di asilo e soprattutto che l'Italia "ricostruisca una strategia sul Corno d'Afrirca", dove può ancora svolgere un ruolo.

L'operazione 'Mare nostrum' avviata dall'Italia va bene per salvare vite dai naufragi, osserva Miriam van Reisen, ma l'Europa non ha ancora preso la strada giusta dopo la tragedia del 3 ottobre, anzi: le ultime indicazioni vanno ancora di piu' verso la "militarizzazione", con il rafforzamento di Frontex e l'uso di droni di sorveglianza, e l'"esternalizzazione" ai paesi nordafricani. Tutte misure che d'altra parte non agiscono alle radici del traffico di esseri umani. Le cui vittime sono, ricorda infine la ricercatrice non persone che lasciano i loro Paesi per trovare lavoro in Europa, ma che iniziano il loro viaggio per trovare rifugio in altri paesi africani. (ANSAmed)
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