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I timori di Israele nel Medio Oriente in fiamme

Politici e analisti, molti dubbi, ma anche nuove opportunità

17 dicembre, 15:59

(dell'inviato Stefano Polli). (ANSAmed) - TEL AVIV, 17 DIC - Visto da Israele, il frullatore impazzito di guerre, rivolte e primavere arabe sfiorite, che sta stravolgendo e ridisegnando la geopolitica mediorientale, potrebbe portare presto nuovi guai. Guai politici e diplomatici. E anche militari. Ma forse, nel lungo periodo, potrebbe anche essere l'occasione per nuove opportunità e per la costruzione di un nuovo Medio Oriente.

I politici e i diplomatici a Gerusalemme, gli analisti di Tel Aviv, i militari che a Gaza studiano il lungo, preoccupante sonno di Hamas e quelli che controllano dal Golan il mattatoio siriano, poco oltre il confine, hanno nelle loro riflessioni un dato comune: sanno che nulla sarà come prima.

C'è una preoccupazione misurata, volontà di provare a ragionare con freddezza, ma anche un vago senso di isolamento nei commenti di chi guarda la storia e la geografia che cambiano intorno ai confini israeliani. Le analisi tendono a essere pragmatiche: la svolta americana sull'Iran è stata già metabolizzata, il mancato attacco alla Siria accettato. I rapporti con gli Usa non sono quelli di una volta, ma l'alleanza strategica non è in discussione. La ricerca del dialogo a ogni costo da parte di Barack Obama non piace, ma la cooperazione militare non ne ha risentito.

"La bomba dell'Iran? Vogliono solo prendere altro tempo. Ma noi siamo pronti. Tutte le opzioni sono sempre sul tavolo", ripete, come un mantra, un politico, ex militare, tra i più influenti nel Paese. Ma se si scava un po', si capisce che il punto è, in realtà, un altro. Non è la "bomba" a spaventare Israele, ma il "ruolo strategico" che potrebbe avere un Iran nucleare. Gli israeliani non hanno nessuna voglia di ritrovarsi in un equilibrio del terrore in salsa mediorientale, con anche il possibile rilancio saudita rifornito dal Pakistan.

In un palazzo importante di Gerusalemme, un analista elenca le tessere del puzzle impazzito: "Non è solo una questione di sunniti e sciiti e di guerra per procura. Dobbiamo ragionare con tanti modi di pensare diversi che formano diversi gruppi: l'asse Iran, Siria, Hezbollah, le monarchie del Golfo, i nazionalismi, i Fratelli musulmani, i gruppi jihadisti, quelli globali e quelli salafiti locali. Siamo di fronte a uno scontro di identità molto forte". La situazione non è facile e il frullatore continua a girare.

A nord il bubbone siriano continua a gonfiarsi, strage dopo strage, e può esplodere da un momento all'altro con conseguenze inimmaginabili, che potrebbero andare ben al di là dei 100mila morti già concessi alla follia di questa guerra civile. E da queste parti si rimpiange la sicurezza della Siria sotto il tallone di ferro di Assad. A sud il dilemma egiziano non fa dormire tranquilli: come sarà il nuovo Egitto? Ci sarà ancora spazio per la cooperazione con Israele? Se ti avvicini al Golan e parli con i militari che scrutano le valli siriane, ti raccontano di scontri a 200 metri dal confine, di 75 colpi di artiglieria e mortai caduti in Israele, non tutti per sbaglio, vedi le ferite devastanti della guerra curate dai medici israeliani nell'ospedale di Zefat, di come conquistano terreno i gruppi qaedisti, mentre Hezbollah, che adesso ha 5mila uomini in Siria, rimane sempre un pericolo nel sud del Libano.

Se scendi a sud e vai sul confine con Gaza, ti raccontano che recentemente hanno trovato e fatto esplodere tre nuovi tunnel che sbucavano in Israele, che la tecnologia è migliorata che Hamas sta facendo progressi tecnici importanti grazie al know how iraniano.

E sia a nord, sia a sud, sia dal Golan che da Gaza, ti spiegano che Hezbollah e Hamas hanno nuovi missili che possono colpire praticamente ovunque in Israele.

In questa fase di grande confusione e poche certezze, il negoziato con i palestinesi è stato messo in frigorifero. La posizione complessiva di debolezza dei palestinesi è evidente e ad Israele non dispiace. "Se si votasse a Gaza vincerebbe Fatah e in Cisgiordania vincerebbe Hamas", sorride con amarezza un analista.

Molto probabilmente questo non è neanche il governo israeliano più adatto a raggiungere un accordo, ma di fatto il dialogo è bloccato e le continue visite del segretario di Stato John Kerry non hanno portato nuovi elementi. "Stiamo perfezionando i nostri sistemi di intelligence, lavorando molto sulla nuova tecnologia e rendendo più flessibile il nostro esercito", ti spiegano. E, certo, la difesa israeliana passa dai e dalle diciottenni in divisa alle fabbriche di droni non lontano dall'aeroporto Ben Gurion, dagli analisti e 007 che parlano arabo alle aziende che producono satelliti d'avanguardia totalmente made in Israel.

Questo per adesso. Poi, in un'università a nord di Tel Aviv, ti mostrano la mappa del nuovo Medio Oriente, quello che potrà essere alla fine di questa fase. Vedi la Siria divisa in due, una porzione di costa agli alawiti (Alawistan), il resto è la Nuova Siria. Vedi l'Iraq diviso in tre con il Kurdistan, l'Iraq sunnita e quello sciita, l'Arabia Saudita divisa in due, da una parte il Sacro Stato islamico (Mecca e Medina) e dall'altra Riad. E' solo uno studio, poco più di un gioco. Ma dietro c'è un ragionamento e forse quello che ti fanno vedere non è molto lontano da quello che, da queste parti, si spera che possa accadere. (ANSAmed).

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