Nella lunga intervista (quattro pagine) a Enrique Cymerman, il pontefice tocca vari temi: il "peccato" dell'antisemitismo, la condanna di ogni violenza commessa "nel nome del Signore" e la richiesta ai leader musulmani di prendere una "posizione chiara" sulle persecuzioni ai cristiani.
Ad una domanda sulla recente strage ad opera di due palestinesi nella sinagoga di Gerusalemme, ha detto di condannare "con forza ogni genere di violenza nel nome del Signore. Seguo con preoccupazione - ha aggiunto - la escalation a Gerusalemme e in altre località della Terra Santa. Prego per le vittime". "Dal profondo del cuore - prosegue - mi rivolgo alle parti coinvolte con un appello affinché mettano fine all'odio e alla violenza. Costruire la pace è difficile, ma vivere senza pace è un incubo".
Francesco è netto nella condanna dell'antisemitismo che "è un peccato. Non puoi essere un vero cristiano se non riconosci le tue radici ebraiche. Bisogna ricordare sempre che il cristianesimo è fiorito dall'ebraismo".
E sulle persecuzioni ai danni dei cristiani, Bergoglio ha dichiarato che oggi "sono più gravi che non ai primi giorni della Chiesa". "In Iraq, ad esempio - ha spiegato - vengono compiuti atti barbari, criminali inimmaginabili. Il grido (di dolore, ndr) dei cristiani, degli yazidi e di altre comunità etniche impone la adozione di una posizione chiara e coraggiosa sia da parte dei leader religiosi, in particolare di quelli musulmani, sia da parte dei leader politici". Quanto allo stretto protocollo che lo circonda, ad esempio nei suoi incontri con i Capi di Stato, ha chiesto al giornalista: "Lei sa quale è la differenza fra il protocollo e il terrorismo?. Con il terrorismo almeno si può negoziare''.
E ad una domanda su come voglia essere ricordato nella storia, papa Francesco ha replicato: ''non ci ho pensato. Sarei felice se si dicesse di me: era un brav'uomo. Ha fatto del suo meglio. Non era poi così terribile". (ANSAmed).