"La vicenda potrebbe svolgersi anche in un villaggio dell'Italia. Parla del conflitto fra un padre che vuole indirizzare il figlio, il quale però ha progetti propri". In Iran quella particolare famiglia allevava tacchini: un'occupazione che avrebbe cercato di mantenere a denti stretti anche una volta immigrata in Israele, malgrado la tenace resistenza del figlio adolescente. Nella prima visione in una grande sala presso Tel Aviv il pubblico, pur incapace di comprendere il farsi, è stato facilitato dai sottotitoli e ha accolto il film con calore. Ha contribuito al successo la partecipazione di attori iraniani attivi in Occidente (Navid Negahban, Fariborz David Diaan e Viss Elliot Safavi) che hanno accettato di partecipare alla realizzazione, pur comprendendo che forse adesso non potranno più tornare in Iran. "Il loro - ha detto Delshad - è stato un atto di coraggio. Io avevo bisogno di attori che conoscessero a fondo la cultura iraniana, che ne avessero tutte le sfumature, la padronanza dei gesti. Li ho cercati da Londra a Los Angeles e portare in Israele musulmani iraniani non è stato facile". Poi è stato necessario farli familiarizzare con la cultura degli ebrei iraniani. Delshad ha così condotto Navid in una piccola sinagoga del Neghev, gli ha spiegato riti ed usanze. Proprio le scene girate durante le preghiere sono fra le più significative del film. Malgrado l'inimicizia fra Iran ed Israele, la nostalgia degli ebrei iraniani verso il loro Paese natio resta anche oggi, secondo Delshad, molto forte. Non a caso la colonna sonora è opera di Eyal Said Mani: un iraniano nato a Teheran negli anni Sessanta da un padre sufi islamico, giunto da giovane in Israele, convertitosi all'ebraismo. E anche adesso che è divenuto un rabbino ortodosso continua a dare concerti in pubblico di musica iraniana. Al Festival del cinema in corso a Haifa Delshad prevede di incontrare un grande regista iraniano, Mohsen Makhmalbaf. Nel mondo del cinema i rapporti fra israeliani ed iraniani, rileva, hanno peraltro grande immediatezza, specialmente nel suo caso, per le radici familiari. Sull'Oscar non avanza previsioni. Una proiezione del suo film a Teheran, lo sa bene, non è fattibile. "Eppure nella pagina Facebook di 'Baba Joon' abbiamo già ricevuto migliaia di messaggi di iraniani. Vogliono vedere il film, ma sono stati diffidati dalle autorità. Sono sicuro che al mercato nero il nostro film sarà egualmente reperibile. Sarà il nostro saluto al popolo iraniano". (ANSAmed).
Oscar: Israele candida film-rivelazione con 'sapore' Iran
Baba Joon in farsi corre per selezione migliore opera straniera
"La vicenda potrebbe svolgersi anche in un villaggio dell'Italia. Parla del conflitto fra un padre che vuole indirizzare il figlio, il quale però ha progetti propri". In Iran quella particolare famiglia allevava tacchini: un'occupazione che avrebbe cercato di mantenere a denti stretti anche una volta immigrata in Israele, malgrado la tenace resistenza del figlio adolescente. Nella prima visione in una grande sala presso Tel Aviv il pubblico, pur incapace di comprendere il farsi, è stato facilitato dai sottotitoli e ha accolto il film con calore. Ha contribuito al successo la partecipazione di attori iraniani attivi in Occidente (Navid Negahban, Fariborz David Diaan e Viss Elliot Safavi) che hanno accettato di partecipare alla realizzazione, pur comprendendo che forse adesso non potranno più tornare in Iran. "Il loro - ha detto Delshad - è stato un atto di coraggio. Io avevo bisogno di attori che conoscessero a fondo la cultura iraniana, che ne avessero tutte le sfumature, la padronanza dei gesti. Li ho cercati da Londra a Los Angeles e portare in Israele musulmani iraniani non è stato facile". Poi è stato necessario farli familiarizzare con la cultura degli ebrei iraniani. Delshad ha così condotto Navid in una piccola sinagoga del Neghev, gli ha spiegato riti ed usanze. Proprio le scene girate durante le preghiere sono fra le più significative del film. Malgrado l'inimicizia fra Iran ed Israele, la nostalgia degli ebrei iraniani verso il loro Paese natio resta anche oggi, secondo Delshad, molto forte. Non a caso la colonna sonora è opera di Eyal Said Mani: un iraniano nato a Teheran negli anni Sessanta da un padre sufi islamico, giunto da giovane in Israele, convertitosi all'ebraismo. E anche adesso che è divenuto un rabbino ortodosso continua a dare concerti in pubblico di musica iraniana. Al Festival del cinema in corso a Haifa Delshad prevede di incontrare un grande regista iraniano, Mohsen Makhmalbaf. Nel mondo del cinema i rapporti fra israeliani ed iraniani, rileva, hanno peraltro grande immediatezza, specialmente nel suo caso, per le radici familiari. Sull'Oscar non avanza previsioni. Una proiezione del suo film a Teheran, lo sa bene, non è fattibile. "Eppure nella pagina Facebook di 'Baba Joon' abbiamo già ricevuto migliaia di messaggi di iraniani. Vogliono vedere il film, ma sono stati diffidati dalle autorità. Sono sicuro che al mercato nero il nostro film sarà egualmente reperibile. Sarà il nostro saluto al popolo iraniano". (ANSAmed).