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a Kerem Shalom, unica 'porta' per Gaza, 'Hamas come Isis'

Direttore valico, 'ora Qatar resta unico sponsor Striscia'

20 giugno, 10:24

(di Flavia Ressmann) (ANSAmed) - KEREM SHALOM (CONFINE TRA ISRAELE E GAZA), 20 GIU - "Da quando è arrivato l'Isis tutto è cambiato nella Striscia.

Hamas ha cominciato a sentirsi e a comportarsi come l'Isis.

Adesso che il Qatar è rimasto l'unico sponsor di Gaza stiamo a vedere cosa succederà: le prossime 2-3 settimane saranno decisive". E' un'analisi maturata sul campo e da un osservatorio privilegiato quella di Ami (il cognome preferisce ometterlo) dal 2008 direttore del valico di Kerem Shalom, frontiera tra Israele e la Striscia, da dove passano tutte le merci destinate alla popolazione palestinese che lì vive tra mille difficoltà.

La recente clamorosa rottura delle relazioni diplomatiche con il Qatar - accusato di connivenza con il terrorismo - da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto insieme alla politica di disimpegno da Hamas avviata dal presidente palestinese Abu Mazen e sfociata nel razionamento sempre più drastico dell'elettricità a Gaza, preludono a cambiamenti sostanziali negli assetti della tormentata Striscia.

Ami ne è convinto. "Parlo con gli arabi tutti i giorni. Tra loro c'è solo disperazione. Credono che noi li abbiamo dimenticati quando abbiamo lasciato che Hamas prendesse il potere. Oggi vogliono una soluzione totale ai loro problemi, sono disposti a soffrire ancora uno o due mesi. Ma poi basta", spiega Ami ad un gruppo di giornalisti italiani in visita al valico. "La situazione a Gaza non è mai stata peggiore di quanto lo sia oggi. Immaginate cosa voglia dire vivere con solo 4 ore di luce al giorno. Non è una vita normale". Parla con cognizione di causa Ami, che si definisce "un rifugiato che vive nel suo Paese". I suoi primi vent'anni di vita li ha passati a Gaza, poi insieme ad altri 10mila israeliani è stato costretto a lasciare casa, amici, lavoro, tutta la sua vita dietro le spalle. E ne ha ricominciata un' altra, a Kerem Shalom che - paradosso mediorientale - significa "il vigneto della pace".

Su uno sfondo di alte mura in cemento armato, sorvegliate senza sosta da uomini, cani e monitor e tra un via vai di camion israeliani e palestinesi che alzano dense folate di polvere Ami (57 anni) - berretto da baseball e coda di cavallo sale e pepe - si muove con passo spedito raccomandando agli ospiti di non fotografare "cani, scanner e fucili". E' lui il responsabile di tutto quello che entra ed esce da Gaza. Dalla frutta e verdura (che si scarica per prima al mattino, fino ai materiali edili e alle sementi). Ogni giorno l'Autorità Nazionale Palestinese invia al valico una "lista" dei beni che servono alla gente di Gaza e si procede con l'andirivieni dei camion il cui contenuto viene minuziosamente controllato. "Quelli sono i miei occhi dentro i camion", dice Ami indicando i due scanner che gli consentono di visionare le merci dai monitor del suo ufficio.

Quelle in entrata e quelle in uscita.

Se nel 2016 sono passati per questo valico quasi 180 mila camion, nel 2017 si prevede di arrivare a 200 mila. Un raddoppio rispetto al 2014, da quando il 100% del lavoro è passato in mano israeliana dal momento che il presidente Abdal Fattah al Sisi ha deciso di chiudere il varco egiziano. "Il governo israeliano sta facendo del suo meglio per aiutare la gente a Gaza. I palestinesi però vorrebbero una mano anche dalla comunità internazionale. Noi serviamo la popolazione, ma in un territorio nemico", dice Ami ricordando come nel 2014 durante l'operazione "Protective Edge" mentre da Kerem Shalom partivano le merci per la Striscia, dall'altra i razzi colpivano il valico stesso. "Se vuoi far sì che passino 1000 camion al giorno devi fare in modo ne passino 100 ogni ora", calcola Ami che dirige il lavoro di 200 persone dalle 6 del mattino fino a quando fa buio.

Tra questi ci sono anche dei camionisti palestinesi addetti alla consegna a Gaza "confinati" in un'area specifica di Kerem Shalom nella quale ha accesso un solo israeliano, Ami. Uno di questi palestinesi è disposto a scambiare qualche parola. "A Gaza è difficile. Il problema peggiore è la mancanza di elettricità".

Di chi è la colpa, gli chiediamo. "Di tutti i Governi, non di uno solo", risponde con prontezza. A lui comunque è andata bene: lavorare al valico gli consente di guadagnare 1300 shekel al mese. Più del doppio di quanto prenderebbe a Gaza, dove peraltro il 40% della popolazione è disoccupata. (ANSAmed)
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