TEL AVIV - Israele è in lockdown politico con lo spettro reale di un quinto voto. Nessuna delle due coalizioni in campo - al 90% circa dello scrutinio - ha in tasca una possibile maggioranza alla Knesset. A cominciare da quella del premier Benyamin Netanyahu, che si ferma - pur con il Likud primo partito a 30 seggi - a 52 seggi su 120. Né quella eterogenea di 'tutti contro il premier' che arriva a 56 - con Yair Lapid primo a 17 seggi - e conferma così il primato numerico dei primissimi exit poll. Arbitri al momento della partita sono due formazioni molto distanti tra loro: l'ultradestra di Naftali Bennett, 'Yamina', con 7 seggi e 'Raam', il partito arabo islamista di Mansour Abbas con 4/5 seggi.
La matematica di ora dice che se anche Bennett si unisse a Netanyahu, la coalizione filo-premier salirebbe a 59, due seggi in meno dei 61 necessari. Occorrerebbero dunque anche i 4/5 di Raam, ma l'ipotesi è considerata dagli analisti ideologicamente complicata e scivolosa, anche per un semplice appoggio esterno.
La situazione non brilla neppure nell'opposizione: i numeri restano quelli, seppur maggiori. A mano che al blocco, hanno notato in molti, non si aggreghi Bennett, portando il totale a 63 (56 più 7). Anche in questo caso, tuttavia, la strada non è in discesa, vista la variegata composizione del fronte: centro (Lapid e Gantz), destra (Saar e Lieberman), centro sinistra (Laburisti), sinistra (Meretz), arabi (Lista Araba Unita).
Insomma, a patto che le 400 mila schede ancora da scrutinare - le 'doppie buste' di soldati, diplomatici, malati di Covid e quarantenati - non riservino clamorose sorprese, la situazione appare di nuovo in completo stallo.