E', in un certo senso, quel che sta accadendo in questi giorni in Tunisia dove la notizia ufficiale che Aerolia investirà quaranta milioni di euro in Marocco (denaro che genererà cinquecento nuovi posti di lavoro) ha fatto brutalmente svanire la speranza, che era molto vicina alla certezza, che il gigante francese dell'industria aeronautica continuasse a ritenere appunto la Tunisia come il polo industriale di riferimento per i suoi programmi in Africa, così come accaduto sino a ieri.
Una speranza evidentemente malriposta perchè Aerolia, come riferiscono con grande evidenza ed un filo di nemmeno nascosta soffisfazione nazionale alcuni quotidiani marocchini, ha deciso di puntare sul Regno, senza una precisa motivazione se non quella di razionalizzare i suoi investimenti, come ha detto Philippe Le Gragam, responsabile della comunicazione di Aerolia.
Una 'botta' non indifferente per la Tunisia che, dopo la caduta di Ben Ali, a fronte di un nuovo clima dovuto alla sparizione della rapace macchina del regime che rastrellava soldi ovunque e non sempre nell'ambito della legalità, ha registrato una nuova era dei rapporti sindacali, con le centrali - parte attiva nella cacciata del dittatore - che hanno preso piena consapevolezza dell'importanza del loro ruolo, diventando protagoniste delle dinamiche delle relazioni industriali, talvolta però con iniziative di lotta che le hanno portate in rotta di collisione con il padronato.
In Tunisia la notizia che Aerolia porterà denaro e quindi nuovi posti di lavoro in Marocco (Paese che vede, anche in questa occasione, confermata la fama, perseguita con feroce determinazione, di Paese politicamente e socialmente affidabile) è giunta come uno schiaffo e, nella ricerca delle responsabilità che si è subito scatenata, alcuni analisti hanno puntato il dito contro l'Ugtt, di fatto il maggiore sindacato, capofila nelle più importanti vertenze dal 2011 ad oggi e, soprattutto, affatto disponibile a compromessi che possano danneggiare i lavoratori. L'Ugtt, di spiccata ispirazione riformista e laica e per in odio alle correnti integraliste dell'islam tunisino (che ne hanno anche attaccato la sede centrale, nel cuore della capitale), ha conquistato con e dopo la caduta di Ben Ali un profilo di sempre maggiore visibilità, ergendosi - anche in virtù dell'altissimo numero di iscritti, aumentato dopo la 'rivouzione dei gelsomini' - come principale baluardo contro lo sfruttamento e l'assenza di garanzie per i lavoratori. E lo ha fatto anche con proteste culminate con scioperi lunghi e, da un punto di vista economico, molto pesanti, per entrambe le parti. Come accaduto per l'Eads che, nel marzo scorso, dopo una fortissima vertenza, chiuse per cinque giorni la sua fabbrica di Mghira, nel governatorato di Ben Arous, uno dei poli industriali del Paese e la cui economia poggia esclusivamente su tali attività. (ANSAmed).
MIU