Sono questi gli ingredienti di Ghadi, deliziosa commedia di Amin Dora - giovane regista libanese che viene dalla pubblicità e dai cortometraggi - in concorso al Festival del film di Roma nella sezione Alice nella città. Ghadi - è il nome del bimbo 'diverso' - racconta con leggerezza e anche molte risate in sala un favola dove persino i concittadini più bruschi e cialtroni finiscono per cadere nella 'trappola' tesa da Leba, che fa loro credere che quel bimbo urlante sia in realtà una presenza divina, pronta a dispensare grazie e miracoli.
L'attore protagonista (e sceneggiatore) Georges Shabbaz ha una faccia irresistibile da cane bastonato, geniale nella sua creatività per la quale ha bisogno di tutti gli altri personaggi marginali del paese: l'omosessuale, il nero (considerato straniero anche se uno dei genitori è del posto), il matto del villaggio e la zitella acida che aspetta invano il ritorno del fratello emigrante. Alla fine, il paesino della costa libanese, anche messo di fronte alla verità, preferisce credere in Ghadi, che ha portato solo cose buone nella vita di tutti.
Dora riesce a tenere ben in bilico la commedia e temi importanti quali tolleranza, onestà, famiglia e persino il tema dell'aborto: quando Leba va a Beirut dal suo vecchio maestro di musica Fawzi per chiedere consiglio sul figlio che potrebbe avere 'un difetto', questi gli dice che 'tutti abbiamo un difetto' e che quindi terminare la gravidanza non è la cosa saggia da fare. Lontana da ogni tentativo di analisi sociologica o moralismo, 'Ghadi' (candidato libanese all'Oscar per il miglior film straniero nel 2014) è un racconto spiritoso ed accattivante, con bella fotografia e colori mediterranei avvolgenti. (ANSAmed).