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Adi Kichelmacher, arte per la Memoria e contro la paura

'Le tracce del treno della vita' a Fondazione Museo Shoah Roma

28 febbraio, 15:23

(di Patrizio Nissirio) (ANSAmed) - ROMA, 28 FEB - Adi Kichelmacher ha una storia lunga, complicata e commovente da raccontare. Quella della sua famiglia, ebrei a cavallo tra Polonia, Germania ed Italia, ma anche Olanda, Belgio e Francia, colpiti dalla discriminazione e dalla Shoah, fino all'arrivo in Israele. Per un anno Kichelmacher, nata in Israele ma da 13 anni a Roma, ha lavorato su questa storia ed ora presenta il frutto di questo percorso - emozionante e doloroso - nella mostra 'Le tracce del treno della vita', in programma dal primo marzo al 7 aprile alla sede della Fondazione del Museo della Shoah, la Casina dei Vallati, nel quartiere ebraico di Roma.

Una mostra, curata da Ermanno Tedeschi, dai contenuti forti, drammatici, ben raccontati dai colori potenti che l'artista - un passato di studi e lavoro nel settore tessile e della moda - sceglie per la sua narrazione: rosso, giallo, nero, soprattutto. "Il mio bisnonno Haim Moredecai - racconta ad ANSAmed - arrivò in Germania dalla Polonia, e a Rathenow inizia a lavorare nel settore dell'ottica.

Fu poi chiamato a Calalzo di Cadore, dove crea la prima fabbrica italiana di lenti per occhiali, impresa che poi lo porta a Roma, sempre nello stesso settore. Qui succede una cosa straordinaria: dopo il 1938, l'associazione degli ottici italiani fa una petizione a Mussolini affinché non faccia chiudere l'unica fabbrica di lenti a Roma. Però l'impresa dovette prendere il nome del partner non ebreo". La persecuzione però è iniziata, e la famiglia si sparpaglia, fugge e si nasconde fino al 1944, anno in cui Bernard, nonno di Adi, conosce la sua futura moglie Esther che poi rincontrerà sulla nave che va verso Israele nel 1945. La famiglia di Esther, nel frattempo, fuggiva dalla Notte dei Cristalli (1938). Lei la sorella vanno prima in Olanda, mentre i genitori fuggono in Belgio, dove successivamente si riunisce la famiglia. Ma l'invasione tedesca li spinge in Francia, dove tra 1940 e 1942 sono nel campo profughi di Les Milles. Nell'agosto del 1942 il padre, Heinrich Fallmann viene catturato e mandato ad Auschwitz, dove viene ucciso. Il resto della famiglia viene salvato da padre Maria Benedetto (che a Marsiglia mise in salvo 4.000 ebrei), sacerdote che nel 1943 facilita la loro fuga in Italia, dove scampano alla razzia del Ghetto di Roma. Nel 1945, sulla nave che va in Israele, conosce suo marito Bernard.

"Si chiude un cerchio, 13 anni fa, con il mio ritorno a Roma - dice Kichelmacher - e in particolare con questa mostra. Che contiene la speranza di vivere, ma anche la mia paura che tutto questo possa tornare, una paura che combatto ma che mi porto sempre dietro. La cultura e l'arte devono educare contro il razzismo e l'antisemitismo, questa è la mia speranza".

I quadri di Adi sono dedicati alla sua famiglia e ai sei milioni di ebrei uccisi nella Shoah. Linee di tessuto che sembrano rotaie simboleggiano i vari passaggi in treno, oscuri e drammatici (terribile il quadro 'Human cargo'), ma anche di speranza, in certi momenti. In mezzo immagini della famiglia, lettere, lasciapassare e timbri con tutte le lingue d'Europa. E poi "occhiali che mio nonno faceva per gente che non riusciva a vedere" - come spiega l'artista - o specchi come nel quadro 'Indifference', dove lo spettatore si vede oltre un reticolato o tra sbarre bruciate.

La mostra si chiude con due figure bruciate, strappate, con addosso la stella di Davide gialla. "Le ferite possono guarire, ma mai rimarginarsi", si legge nella didascalia scritta da Adi Kichelmacher. (ANSAmed).

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