"In questo periodo, molte persone ci scrivono per condividere con noi l'esigenza di fare qualcosa di concreto: vedono nell'accoglienza in famiglia una risposta, un modo per dire chiaramente da che parte si sta", afferma Fabiana Musicco, direttrice dell'associazione. È il caso, ad esempio, di Guido, Giovanna e Laura che condividono la casa e un pezzo di vita con Layla, irachena, arrivata in Italia con un corridoio umanitario dal Libano. "Da tempo - spiegano - avevamo scelto tutti insieme di ospitare nella nostra famiglia una persona rifugiata. Per molte ragioni: in primo luogo come rifiuto di sentirci complici di scelte politiche non condivisibili; ma anche perché siamo una grande famiglia - tanti figli, fratelli e amici - per cui la condivisione (e la solidarietà) sono per noi un fondamento".
A volte le motivazioni possono essere anche più personali, legate, ad esempio, al desiderio di dare un esempio ai propri figli. Come Camilla e Paolo, che hanno aderito al progetto "perché vorremmo fare capire ai nostri figli, Vincenzo di 14 anni, Miriam di 11 e Pietro di 10, quanto sono fortunati.
Accogliere Hafsa, una ragazza somala di 18 anni, è stato facile, è diventata subito un membro nella nostra pazza famiglia. Siamo contenti. Ogni volta che lei parla o sorride si apre un nuovo mondo".(ANSAmed).