(di Cristiana Missori)
(ANSAmed) - ROMA, 27 FEB - Lotta senza quartiere al
terrorismo, al radicalismo islamico e al fenomeno dei foreign
fighter. E' forse questa la cifra dell'incontro tenutosi a Roma
fra il ministro dell'Interno kosovaro, Skender Hyseni e il
collega, Angelino Alfano. ''Il Kosovo è in prima linea per
arginare il fenomeno dei combattenti stranieri e
dell'estremismo'', assicura Hyseni. ''Nessuno, infatti, può
dormire sogni tranquilli''. Da anni obiettivo dell'azione di
proselitismo da parte dell'Islam radicale, anche il piccolo
Stato balcanico conta ai vertici dell'Isis suoi cittadini. ''La
lotta è senza quartiere'', replica il ministro. ''In un anno
abbiamo arrestato circa 300 fra reclutatori e predicatori'' che
inneggiano al jihad, ''mentre 70 sono le persone attualmente in
carcere con l'accusa di terrorismo''. Nel mirino delle autorità
anche le decine di Ong arabe che oltre a finanziare la
costruzione di moschee nel Paese e favoriscono la diffusione di
un Islam wahabita non soltanto in Kosovo ma anche nel resto dei
Balcani. ''Sappiamo quante sono e dove operano e a molte abbiamo
cancellato i permessi per operare e risiedere nel Paese''. Altro
tassello importante è quello di tenere d'occhio le moschee e la
formazione degli imam. Da tempo il dibattito in diversi Paesi
europei ruota attorno alla formazione di coloro che guidano la
preghiera, alla loro iscrizione a un albo e alla lingua in cui
avviene la predicazione. Una serie di provvedimenti che
richiedono molto tempo, troppo, sostiene Hyseni. ''Non possiamo
aspettare 5-6 anni in attesa che nasca una nuova generazione di
imam. E non possiamo imporre a chicchessia di predicare in una
lingua anziche un'altra. Sarebbe una grave violazione di un
diritto fondamentale''. Non è un problema di forma, aggiunge, ma
di sostanza, di vagliare il contenuto di quel che viene detto,
aggiunge. ''La polizia kosovara è in allerta e monitora
costantemente quanto accade nelle scuole religiose e all'interno
delle istituzioni religiose del Paese''.
In queste ore il Kosovo è confrontato a un altro grave
problema: il rimpatrio di centinaia di emigranti kosovari di
etnia albanese entrati illegalmente in Paesi dell'Unione
europea, ai quali è stata respinta la domanda di asilo.
Rimandati in patria da Ungheria, Germania, Austria, Svezia,
Finlandia, ma anche dal Belgio. In fuga da povertà e
disoccupazione, cercando lavoro e migliori condizioni di vita,
tanto da fare parlare di autentico esodo di massa, mettendo in
allarme molti Paesi europei. ''Il vero problema è la
liberalizzazione dei visti'', replica Hyseni. ''Il Kosovo -
torna a ripetere una volta di più - è l'unico Paese in Europa a
essere tagliato fuori. Abbiamo ormai adempiuto a tutte le
richieste da parte di Bruxelles e non capisco cosa ostacoli la
decisione di liberalizzare i visti nei confronti dei nostri
cittadini''. A sette anni dall'indipendenza, il Kosovo versa in
una situazione economica difficilissima, tanto che sono in molti
a chiedersi se lo Stato sia in grado di reggere in piedi da
solo. Affermazione che il responsabile dell'Interno rispedisce
al mittente. ''Il Paese è in grado di stare in piedi''. E' vero,
''i dati sulla disoccupazione ci dicono che oltre il 30 per
cento della popolazione è senza lavoro, ma oltre il 50 per cento
di coloro che cercano di emigrare illegalmente nei Paesi vicini
è in cerca di un salario migliore. Un lavoro ce lo ha già''. Il
governo, dice, ''non è in grado di aumentare le retribuzioni.
Non abbiamo un solo euro di debito pubblico, ma questo vincolo
stretto non ci consente di aumentare le spese''. Quello di cui
il Kosovo ha estremamente bisogno ''è di investimenti stranieri
per utilizzare le sue risorse naturali. Non c'è nessuna
differenza tra noi e l'Albania o la Serbia''. Una stoccata agli
imprenditori italiani, ancora troppo pochi per le autorità
kosovare. (ANSAmed).