Le testimonianze raccolte dall'ANSA in Libano sono quelle di parenti di chi è rimasto in tre cittadine con forte presenza cristiana nella regione tra Palmira e Homs, lungo il confine mobile che separa lo Stato islamico dalle aree controllate dal governo di Damasco. Chi è fuggito in Libano, e parla solo a condizione di essere protetto dall'anonimato, proviene da Qaryatayn, Mhin e Sadad, località lungo la via che collega l'antica oasi del deserto all'autostrada Damasco-Homs. Qaryatayn è caduta in mano all'Isis ad agosto scorso, Mhin da due giorni è in mano ai jihadisti, che in queste ore assediano Sadad e hanno conquistato postazioni sulle colline circostanti.
Fonti da Sadad affermano che moltissimi abitanti, soprattutto cristiani, sono fuggiti verso località vicine in mano ai governativi come Fayruze e Zaydal. Ma a Sadad, Qaryatayn e Mhin sono oltre cento le famiglie o i capifamiglia che hanno deciso di rimanere. "Hanno paura di perdere quel che hanno costruito per anni. Le case, le terre, la loro appartenenza...", affermano i loro parenti e amici.
Dopo aver preso Qaryatayn l'Isis ha deportato verso Raqqa e Palmira circa 200 cristiani della cittadina. Dopo averli tenuti prigionieri per settimane ha proposto loro un accordo basato sulla sottomissione all'autorità dell'Isis in cambio di "protezione". L'organizzazione jihadista si legittima usando una interpretazione tutta sua di un sistema islamico della "dhimma", un patto di protezione che l'autorità musulmana stabilisce con i rappresentanti di comunità non musulmane, come cristiani ed ebrei. L'alternativa che l'Isis ha offerto ai cristiani locali è stata l'esproprio totale. In altri casi la morte. La morte è descritta come "certa" da chi afferma di non voler "lasciare la terra per morire in mare verso l'Europa", o "trovarsi sotto le bombe in altre zone della Siria". Diversi rapporti internazionali confermano che la maggior parte degli attacchi aerei condotti in Siria colpiscono zone che sono fuori dal controllo dell'Isis. "Si illudono di proteggere i loro interessi", affermano altre fonti cristiane siriane in Libano che criticano la scelta di rimanere. "Ora possono lavorare e rimanere nelle loro case, ma chi gli assicura un futuro?". Questo, risponde chi è rimasto, è incerto per tutti. "Se moriremo, sarà nella nostra casa". (ANSAmed).