(di Luciana Borsatti) ROMA - Far sedere al tavolo dei negoziati di Ginevra anche chi la guerra non l'ha voluta, ne è tuttora vittima o è fuggito per non essere costretto a combattere. E' la prima richiesta che compare in una proposta di pace per la Siria formulata da un gruppo di profughi rifugiati nel nord del Libano e raccolta dall'Ong Operazione Colomba, Corpo nonviolento di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII, i cui volontari da tre anni condividono, in tende di fortuna e campi privi di servizi, la stesse condizioni di precarietà e insicurezza.
"Abbiamo già presentato la proposta a Federica Mogherini e Frans Timmermans", dice Alberto Capannini di Operazione Colomba, riferendo di un recente incontro a Roma con l'Alto rappresentante per la politica estera europea e di un altro incontro precedente con il primo vicepresidente della Commissione Ue. "E attendiamo - aggiunge - la convocazione di una sessione aperta del Parlamento europeo" in cui esporla.
Nel giorno in cui tutti i media parlano della strage per armi chimiche di Idlib e della Conferenza internazionale per la Siria di Bruxelles, la proposta di questi profughi - rappresentativi di diverse comunità in Libano, dice Capannini, e alcuni dei quali giunti in Italia grazie ai corridoi umanitari promossi da Comunità di S.Egidio. Chiese evangeliche e Chiesa valdese - ha l'attualità e la concretezza di un appello che giunge non dalle stanze delle diplomazie ma da chi la guerra l'ha davvero subita.
"Noi siriani, profughi nel nord del Libano - esordiscono nel testo - rivendichiamo il diritto di far sentire la nostra voce".
E chiedono in primo luogo "la creazione di zone umanitarie in Siria, ovvero di territori che scelgono la neutralità rispetto al conflitto, sottoposti a protezione internazionale", citando come modello la Comunità di San Josè di Apartadò in Colombia. Si chiede poi che "si raggiunga una soluzione politica" ed "un governo di consenso nazionale che rappresenti tutti i siriani nelle loro diversità e ne rispetti la dignità e i diritti". E ancora "verità e giustizia" sui responsabili di massacri e distruzioni e spazio "a chi vuole ricostruire". "La pace non si può fare solo con chi vince o chi perde - chiosa Capannini - e la guerra finisce davvero solo quando si tiene conto di milioni di profughi e sfollati". Ma Operazione Colomba - che opera anche in altre realtà tra Palestina, Albania e Colombia - allarga anche lo sguardo sulla dura realtà dei profughi in Libano. Un Paese di 4 milioni di abitanti che ospita 1,5 milioni di siriani, come ricordato anche oggi a Bruxelles dal premier Saad Al-Hariri, che ha parlato di "bomba ad orologeria". Ma anche uno Stato che non ha firmato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, ricorda Capannini, non ha campi profughi ufficiali e lascia dunque all'iniziativa privata o delle ong l'allestimento di quelli 'informali'.
Una situazione in cui è giocoforza che si moltiplichino le tensioni tra residenti locali e profughi, con i primi impauriti dal rischio Isis ed i secondi vittime a volte, dice Capannini, di minacce e aggressioni. E' anche per questo che una ventina di volontari di Operazione Colomba hanno accolto la richiesta di alcuni profughi di stabilirsi con loro - lo fanno in piccoli gruppi ed a turno per alcuni mesi, nel piccolo campo autogestito di Tel Abbas, a 5 chilometri dal confine, tra "tende e baracche di legno e cartone ricoperte di nylon", servizi igienici improvvisati, fili della luce volanti. Una scelta di solidarietà servita anche a stemperare le tensioni, racconta Capannini, in un ambiente in cui si può fare amicizia anche con gli stessi libanesi che affittano le piazzole per le tende "a 20-30 dollari al mese" ed i garage a 300-400. E dove la vita nei campi delle 'charity', che invece sono gratis, sono l'ultimo gradino della scala discendente per quei siriani che, costretti a lasciare le loro case in Siria, ormai hanno perso proprio tutto.