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Iconografia dei rifugiati, incontri fotografici a Barcellona

Antropologa visuale parte da foto campo libanese Burj al-Shamal

14 giugno, 18:43

Il Museo d'arte contemporanea di Barcellona (Copyright foto Wikipedia Creative Commons) Il Museo d'arte contemporanea di Barcellona (Copyright foto Wikipedia Creative Commons)

NAPOLI - La fotografia può davvero rappresentare la vita in un campo profughi? Riti come il matrimonio come aiutano l'autodeterminazione? Sono questi alcuni dei temi che Yasmine Eid-Sabbagh ha affrontato negli incontri 'Una conversazione fotografica dal campo di Burj al-Shamal', che si concludono oggi al Macba, il Museo d'arte contemporanea di Barcellona. La rassegna parte da un'istallazione delle fotografie scattate dall'antropologa visuale e dai giovani che vivono nel campo profughi che si trova in Libano, a pochi chilometri da Tiro, e ospita circa 20.0000 rifugiati palestinesi. Yasmine Eid-Sabbagh ha vissuto infatti nel campo per cinque anni, dal 2006 al 2011, stimolando i ragazzi locali a gettare il loro sguardo sul campo attraverso l'obiettivo fotografico.
L'installazione ha già toccato altri cinque campi palestinesi, tra il Libano e la Giordania, e ha dato vita alla creazione di una collezione permanente della Arab Image Foundation di Beirut. Al Macba, le foto hanno dato vita a una serie di conversazioni su come si è formata l'iconografia dei rifugiati a partire dagli anni '50 con le immagini dell'Agenzia Onu per i Rifugiati, e poi con le immagini dell'Olp e dei media internazionali. Il tema si inserisce nel percorso aperto proprio al museo catalano con la mostra 'Akram Zaatari. Contro la fotografia'. Nel corso degli incontri è emerso che trasformare le fotografie in una performance e non in una mostra, riesce a sospendere la logica della rappresentazione, evidenziando invece i conflitti e i dilemmi che emergono dalle immagini. Ecco perché Yasmine Eid-Sabbagh ha scelto un allestimento con le immagini poste l'una di fronte all'altra, non in contrapposizione ma per creare una comunità e discutere appunto con i visitatori su quella comunità creatasi nel campo profughi e nel corso del progetto di fotografia con i giovani palestinesi.

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