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Libia: Usa, grati a Italia, ma benvenuti più sforzi

Portavoce Dipartimento di Stato Kirby, 'sta a Roma decidere'

05 febbraio, 09:33

(di Claudio Salvalaggio) (ANSAmed) - WASHINGTON - Bene l'Italia in Libia, ma un maggiore impegno sarebbe benvenuto, secondo il Dipartimento di Stato Usa. L'invio di truppe italiane e di altri Paesi europei per creare una forza locale di stabilizzazione dopo la formazione di un nuovo governo di unità nazionale è secondo il New York Times una delle opzioni tra quelle sotto esame per fronteggiare l'escalation della minaccia Isis in Libia. Minaccia che, sempre secondo i media americani, sta facendo aumentare il pressing dei più alti consiglieri per la sicurezza nazionale Usa su Obama perché approvi l'uso della forza militare in Libia per aprire un nuovo fronte contro il Califfato, parallelamente agli sforzi diplomatici internazionali per il varo di un nuovo governo di unità nazionale. Intanto il portavoce del Dipartimento di stato americano, John Kirby, sottolinea come gli Usa siano "grati all'Italia per il suo impegno" nel Paese nordafricano, lodando in particolare il ruolo svolto dai Carabinieri con il loro lavoro di addestramento dei militari libici. Ma affermando anche come "un maggiore impegno" del nostro Paese "sarebbe il benvenuto". "Gli Stati Uniti - ha assicurato - aumenteranno i loro sforzi, e vorremmo che anche gli altri Paesi facessero lo stesso. Ma la decisione spetta solo a loro". Barack Obama intanto si appresta ad agire. "La Casa Bianca deve solo decidere", ha dichiarato al Nyt un dirigente del dipartimento di Stato sotto anonimato, spiegando che "il caso è stato sviscerato praticamente da tutti i dipartimenti".

Ma Obama, dopo aver incontrato giovedì scorso i suoi consiglieri per la sicurezza e i vertici del Pentagono, appare ancora titubante sul da farsi, preoccupato di imbarcarsi nell'ultimo anno del suo mandato in un'altra avventura militare in Libia dopo il disastroso vuoto creato dall'eliminazione di Gheddafi.

Nello stesso tempo, però, deve muoversi velocemente per prevenire il rischio della ramificazione dell'Isis alle porte dell'Europa, che potrebbe minacciare più direttamente anche cittadini ed interessi americani. Per questo il presidente Usa ha sollecitato di aumentare gli sforzi per creare il nuovo governo libico mentre il Pentagono affina le sue opzioni, che comprendono attacchi aerei, raid con commando e consiglieri per le milizie libiche sul terreno, come stanno facendo ora le forze per le Operazioni Speciali nella Siria orientale. Escluso per ora l'uso di truppe su larga scala. Ma la discussione in seno all'amministrazione Obama non è ancora finita, né è stata decisa l'entità o il contorno di un eventuale coinvolgimento militare americano in Libia, che in ogni caso sarebbe coordinato con gli alleati europei. La speranza principale è appesa al difficile varo del nuovo governo libico, già respinto una prima volta dal parlamento, sullo sfondo della lotta tra varie fazioni. In caso di successo, ogni intervento potrebbe essere coordinato con la nuova leadership, compreso l'invio di truppe italiane e di altri Paesi europei per far nascere una forza locale di stabilizzazione. Tra le opzioni anche quella di rispolverare il piano del Pentagono per addestrare truppe anti terrorismo. Ma il tempo stringe, mentre l'Isis continua a rafforzarsi: secondo la difesa americana, il numero dei combattenti del Califfato in Libia è aumentato da 5000 a 6500, più del doppio rispetto rispetto alle stime fatte lo scorso autunno dagli analisti governativi. Per questo, secondo alcuni alti dirigenti ed ex dirigenti dell'amministrazione, se i percorsi paralleli di sostegno al processo politico in Libia e di lotta all'Isis si "rinforzano reciprocamente", ad un certo punto gli Usa potrebbero agire unilateralmente (come ha ammonito già ieri Obama) o con gli alleati se posti di fronte ad una credibile minaccia dagli avamposti libici del Califfato. "Cercheremo di aiutarli ad ottenere il controllo del loro paese", ha spiegato il capo del Pentagono Ash Carter. Ma, ha precisato, "non vogliamo scivolare verso una situazione come quella in Siria e in Iraq". I generali attendono ordini, ora tocca al commander in chief, il presidente, prendere una decisione. (ANSA).

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