Le donne che siedono nel Parlamento di Tobruk - l'organo che ancora non ha dato il via libera al governo di Sarraj - sono una trentina, perché il post-rivoluzione ha loro assegnato il 16% dei seggi. Ma anche le deputate contano le vittime, come Fariha Al Barkawi, assassinata nel 2014 come lo era stata pochi mesi prima anche l'attivista per i diritti umani Salwa Bughaighis. Mentre le donne della società civile - oltre a piangere i loro mariti, figli e fratelli uccisi in questi anni - fanno i conti con la crisi economica, la mancanza di beni essenziali sul mercato, la scarsa circolazione di contanti, le forti carenze del sistema sanitario, la violenza sessuale e di genere tornata a dominare nelle case e nelle strade, la criminalità, la corruzione, la mancanza di un'autorità politica forte e l'assoluta necessità, dopo cinque anni di guerra civile e terrorismo, di una riconciliazione nazionale.
Tutti problemi diffusamente elencati dalle relatrici libiche, cui si aggiungono anche la perdita o il rischio di perdere le conquiste del passato. Lo ha denunciato in particolare Naeima Gebril, membro del consiglio per il Dialogo politico nazionale: segnalando i mufti che vogliono separare ragazzi e ragazzi nelle scuole, o la legge per il ripristino della poligamia impugnata però con successo - ha detto - davanti alla Corte suprema. Ma le rappresentanti delle Libia rivolgono anche richieste precise all'Italia e alla comunità internazionale - come un aiuto nello sminamento delle case e delle infrastrutture civili nella pur liberata Bengasi, dove le milizie islamiste sconfitte hanno disseminato mine ovunque senza lasciarne le mappe. Un appello giunto dalla stessa Gebril, ma anche anche da Hana Abudeb, deputata che chiede sostegno all'Europa e all'Italia per la ricostruzione degli aeroporti, la riapertura delle ambasciate e la possibilità per l'esercito libico di combattere in modo efficace il terrorismo con la revoca dell'embargo sulle armi.
Ma non sono mancate le critiche agli stessi Paesi europei, da cui sono giunte "tante parole e pochi fatti", è stato sottolineato, o che perseguono interessi nazionali diversi in Libia contribuendo alle divisioni tra fazioni.
Come divergono anche le visioni anche sul controverso generale Haftar, per il quale in realtà l'Italia auspica il riconoscimento di un ruolo adeguato nella sicurezza nel Paese.
"Haftar non è un capo banda, ma una personalità incaricata dal parlamento" contro le milizie jihadiste, ha detto la deputata Sultana Abdurrai, sottolineando che il consenso alla sua figura va ormai anche oltre i libici della zona orientale.
Nessun rischio dunque che l'anziano generale voglia applicare anche in Libia il modello autoritario del presidente egiziano Sisi, ha assicurato ancora la deputata, perchè "la Libia sarà governata solo dalle urne", ha detto, e lo scenario di una dittatura militare evocato nel dibattito "non ha fondamento".
(ANSAmed).