(di Luciana Borsatti) (ANSAmed) - ROMA, 18 OTT - "Ogni Paese ha la sua idea, e aiuta la fazione che meglio serve i suoi interessi. Invece l'Europa dovrebbe avere una voce sola" e aiutare davvero, con "fatti" e non con "parole", perché dalla Ue "dicono sempre che ci aiutano, e invece non lo fanno: non per i confini, non per le migrazioni, non per il ruolo in economia delle donne", che avrebbero bisogno di sostegno per le loro micro-imprese. A parlare con ANSAmed è Naeima Gebril, componente del consiglio per il Dialogo nazionale libico, che ha partecipato all'incontro sulle donne nella ricostruzione democratica del Paese organizzato ieri dalla società cooperativa Minerva, con il supporto del Mae, alla Camera.
I libici, sottolinea, sono orami diventati molto attenti alle interferenze esterne nella crisi. L'ospedale da campo gestito dall'esercito italiano a Misurata per esempio, segnala, "è una iniziativa molto buona ma per la gente è un punto interrogativo: perché, si chiede, a Misurata e non a Bengasi o nel sud? Forse perché vogliono aiutare gli islamisti di Misurata?". Un altro nodo critico è dato dalla figura del controverso generale Khalifa Haftar, che ha guidato la liberazione di Bengasi dalle milizie jihadiste e ripreso il controllo della mezzaluna petrolifera, estendendo la sua presenza tra l'est ed il sud e puntando ad un ruolo di peso nella futura Libia.
"E' stata la gente a chiedere ad Haftar di intervenire contro il terrorismo - sottolinea - e lui è importante per la sicurezza nazionale dell'Egitto e dei suoi confini. Ma non diventerà un altro Sisi", concorda con altre voci libiche che, nell'incontro, si sono espresse sull'ipotesi che il suo sia anche un progetto di autoritarismo politico sul modello egiziano.
Anzi, aggiunge, si tratta di un uomo che punta alla direzione dell'esercito, e anche lui ha cominciato a percorrere la strada del dialogo, con contatti sotto traccia con i moderati di Misurata e anche con alcuni degli islamisti di Tripoli.
Proprio nella capitale la situazione resta "molto difficile" a causa delle milizie, sottolinea ancora l'esponente della società civile, che non dà troppo peso al tentato golpe dei giorni scorsi da parte degli islamisti vicini all'ex premier Khalifa al Ghwell.
Piuttosto, sottolinea, il governo di Fayez al Sarraj "deve trovare una soluzione per le milizie", che "non sono sotto il controllo dello stato".
E soprattutto Sarraj deve lavorare insieme al suo Consiglio presidenziale per trovare "una visione comune per il futuro, una strategia sull'esercito, che è il vero problema della Libia".
Ma secondo l'attivista anche il parlamento di Tobruk che ha bocciato il governo di Sarraj è diviso, "solo il 30% circa dei deputati non lo vogliono". Quanto al fatto che il suo esecutivo è sostenuto invece dalla comunità internazionale, "in Libia non ne vogliono proprio sentire parlare, dicono che è il governo 'della comunità internazionale". Dall'estero dunque dovrebbero "evitare di dare questa spinta al governo, dovrebbero invece convincere il parlamento e la società libica su questo accordo".
Infine, il dibattito nell'Assemblea costituente per una nuova Costituzione, dove fra i nodi più critici vi sono quelli della 'sharia' e delle donne. E a questo proposito l'attivista ha sottolineato la necessità di una formulazione secondo cui non i testi ma i 'principi' della sharia, per il loro carattere universale e non condizionato dai contesti storici, devono ispirare le leggi. Mentre lo Stato deve contestualmente "proteggere", ha concluso, le conquiste delle donne. (ANSAmed).