''Nemmeno nei momenti più duri - spiega Benshaban - abbiamo smesso le nostre attività. Nessuno ci ha toccati. C'è una linea rossa che non è stata e che ancora oggi non può essere oltrepassata''. E ''la nostra strategia, finora, è stata quella di non fare politica e di non intervenire a favore di nessuna fazione''.
Oltre a ospitare molti rifugiati interni - studenti giunti da uno degli altri 14 atenei del Paese, chiusi per lunghi periodi, ''come Bengasi, Zawiya o Sirte o non in grado di operare, abbiamo molti studenti provenienti dalla Siria, che vengono ospitati alle stesse condizioni dei nostri studenti, gratuitamente, compresi gli alloggi''. In tanti, prosegue, sono partiti per completare una parte degli studi accademici all'estero e dopo l'inizio del caos ''non sono mai più potuti rientrare''. In molti, afferma, sono rimasti fuori iniziando a lavorare nel Paese in cui erano''. Oltre alle risorse necessarie a sopravvivere - chieste anche al premier Serraj ''che abbiamo incontrato di recente'' - l'Università di Tripoli ha bisogno di essere coinvolta in attività internazionali. Un impegno che la stessa Unione delle Università del Mediterraneo, ha spiegato il direttore, Marcello Scalisi, intende portare avanti.
''Per il momento - ha detto Scalisi - non è possibile intervenire direttamente sul terreno, ma la Libia va coinvolta in progetti concreti. Sul tavolo le richieste avanzate dai vertici dell'ateneo libico sono diverse: dal sostegno per facilitare la mobilità per studenti e docenti, a programmi che si estendano ai settori dell'energia, delle scienze mediche e dell'ingegneria. ''Lavoreremo - conclude - per chiedere che anche gli studenti libici possano accedere all'Erasmus+1, ma solo quando la situazione sarà migliorata''. (ANSAmed).