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Migranti: dalla Nigeria ai centri di detenzione libica

Shelok non ce l'ha fatta, 'ma tornare indietro è impossibile'

14 giugno, 17:07

(di Simon Kremer) (ANSAmed) - TRIPOLI, 14 GIU - Lasciarsi due bambini piccoli alle spalle a casa insieme alla nonna per cercare a tutti i costi di giungere in Europa. La forza, più che la paura dettata dalle orribili notizie che quotidianamente giungono dal fondo del Mediterraneo, hanno portato Shelok, una giovane mamma nigeriana, a scegliere di fuggire dal suo Paese e cercare una prospettiva migliore. Seduta a terra in un capannone dove sono stati stipati centinaia di migranti, racconta la sua lunga storia. Attorno a lei, giacciono centinaia di materassi.

Nell'aria, invece, aleggia pesantemente un odore misto di piedi, di dolciastro e di vestiti bagnati. Fuori alcuni ragazzi giocano a calcio scalzi, mentre alcune donne siedono in cerca di un po' di sole come spiega Washdi al-Muntasir, il comandante del centro gestito dal Governo di accordo nazionale e utilizzato come specchietto per le allodole per giornalisti e organizzazioni umanitarie. Le condizioni nella maggior parte dei campi profughi libici, stando alle testimonianze di molti migranti, sono incommensurabilmente peggiori. Partita nove mesi fa dal suo villaggio, dopo essere rimasta vedova, come tanti altri disperati saliti su di una carretta del mare, la trentenne nigeriana è finita nelle maglie dei guardacoste libici. La sua avventura inizia quando chiede aiuto a una anziana del suo villaggio. Alcuni giorni dopo finisce in una città della Nigeria dove viene forzata a prostituirsi per pagarsi il viaggio. Dopo essere fuggita, trova un gruppo di trafficanti che le consentono di attraversare il Sahara. Un viaggio durato un mese, ricorda, dopo il quale riesce a mettere piede su di una imbarcazione di fortuna insieme ad altri migranti, ma viene fermata dalla Guardia costiera libica e spedita in un campo. ''I contrabbandieri sono molto astuti'', racconta al porto di Tripoli, Ashraf al-Badri colonnello della guardia costiera libica. Difficile monitorare le loro imbarcazioni. Utilizzano gommoni difficilmente rilevabili dai radar''. Dotati di mezzi inadeguati e senza visori notturni, dice, di notte i guardacoste sono costretti a fare affidamento sul loro udito. Le imbarcazioni più veloci in dotazione dei guardacoste libici sono lunghe circa 12 metri, poco più grandi delle barche utilizzate dai contrabbandieri. "Siamo stati abbandonati dal governo libico ma anche dall'Unione europea che non ci hanno fornito un aiuto adeguato'', aggiunge il militare. E la ''situazione sta peggiorando'', sostiene, aggiungendo che i trafficanti sono molto meglio attrezzati. ''Il governo non ha alcun controllo e in giro ci sono sempre più miliziani armati che collaborano con i contrabbandieri''. Così come alcuni componenti della Guardia Costiera libica. Secondo alcune indiscrezioni, le autorità tedesche sarebbero al corrente del fatto che alcune componenti della Guardia Costiera libica hanno cooperato con la rete di trafficanti, dando loro sostegno e protezione. I profitti potenzialmente sono enormi: l'Organizzazione mondiale per le Migrazioni stima che ogni anno la tratta di persone tra Africa e Europa frutti fra i 150 e gli oltre 300 milioni di dollari (134 milioni a 270 milioni di euro). L'Oim ha poi scoperto che in Libia esiste un vero e proprio mercato di schiavi, dove molte donne sono costrette a prostituirsi e gli uomini sono ai lavori forzati e che soltanto dietro il pagamento di un riscatto questi vengano liberati. Malgrado il dramma in cui si ritrovano in molti non hanno nessuna intenzione di tornare indietro. Come Shelok afferma: "indietro non posso tornare". Tornare in Nigeria dai suoi piccoli come una donna fallita per lei non rappresenta una opzione. ''O riesco ad arrivare in Europa o muoio in mare''.

(MINDS/DPA).

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