ROMA - Lavorano fino a venti ore al giorno senza essere pagati. Vivono in alloggi di fortuna, senza acqua, elettricità e servizi igienici. Come unico compenso, qualche avanzo della tavola dei loro padroni e pochi stracci.
Sono i circa 43 mila - secondo l'ultimo dato disponibile del Global Slavery Index (2016) - uomini, donne e bambini schiavi che vivono in Mauritania. Ad accendere un faro sulle loro condizioni è il libro scritto dalla giornalista di origini greche, Maria Tatsos, "Mai più schiavi-Biram Dah Abeid" e la lotta pacifica per i diritti umani (Edizioni Paoline, pp. 208, 16 euro). Il volume, presentato in questi giorni a Roma - e il 16 maggio a Milano - fa uscire dai confini del Paese maghrebino la storia di questi 'invisibili', schiavi e ex schiavi, ricostruendola e intrecciandola con quella di un personaggio carismatico, attivista paragonato da molti a Nelson Mandela e Malcolm X, ma che secondo l'autrice assomiglia di più al Mahatma Gandhi "per le modalità di lotta". Nonostante la schiavitù sia stata abolita nel 1981, ancora oggi in Mauritania esiste un numero imprecisato - migliaia - di persone senza diritti. "Molti dei nuovi nati, infatti, non vengono iscritti all'anagrafe, e di fatto non esistono. Non godono di diritti come cure mediche in ospedale, non possono usufruire di nessuna formazione scolastica, non possono ereditare dei beni. Sono di pelle scura e si chiamano haratin".
I padroni, dal canto loro, "si definiscono bianchi (bidan) e sono di origine arabo-berbera". Questo status, ricorda l'autrice, è matrilineare: se una donna resta incinta, fin dal ventre materno il nascituro sarà uno schiavo.
Nato nel 1965, mauritano nero (nato libero, anche se una delle sue nonne ha vissuto da schiava), dal 2008 Abeid ha creato un movimento non violento - IRA Mauritanie, Iniziativa per la rinascita del movimento abolizionista in Mauritania - che combatte la schiavitù con manifestazioni pacifiche, sit-in e denunce in sedi internazionali. Ha conosciuto la galera ben tre volte ed è stato torturato. A pesare, in questa situazione, sostiene Abeid, è anche il credo religioso. Schiavi e padroni condividono infatti la stessa confessione: l'islam, che però, "non incoraggia affatto la schiavitù fra musulmani". L'interpretazione data di alcuni testi sacri da parte dei religiosi è riuscita a legittimare la pratica della schiavitù. "Non è facile - racconta Abeid - ribellarsi se ti insegnano fin da piccolo che finirai fra le fiamme dell'inferno se disobbedisci al padrone". Con un gesto plateale e rivoluzionario, nel 2012 l'attivista mauritano ha bruciato in un rogo i testi sacri locali, dando il via a una nuova presa di coscienza degli haratin.