Con la sua presenza l'Opr vuole comunicare anche un altro messaggio: "non abbiate paura", spiega mons. Andreatta. "I pellegrini sono uomini di preghiera, di pace. Non sono militari, occupanti o persone che vengono spinte da interessi economici.
E' gente di fede e questo dà un grande coraggio alle comunità di questi Paesi, che si sentono meno isolate".
Ma portare i cristiani d'Italia in Medio Oriente ha anche una valenza politica, prosegue mons. Andreatta. Soprattutto in certi casi: "In particolare per quanto riguarda Israele e territori palestinesi, noi costituiamo un elemento di dialogo e di aiuto affinché, anche dal punto di vista politico, si riescano a trovare soluzioni di rispetto delle diversità culturali, religiose, etniche. Israeliani e palestinesi sono due gambe di un tavolo: e un tavolo con due gambe non sta in piedi. La presenza dei pellegrini cristiani è la terza gamba: senza di loro, israeliani e palestinesi sono monchi".
E se le identità che si articolano attorno al Mediterraneo sono diverse, le radici sono invece senz'altro comuni. "I musulmani dicono che noi abbiamo un padre comune nella fede, che è Abramo. Allora, se ci riconosciamo tutti nella stessa radice, come nascita e provenienza, dobbiamo però avere la capacità di vedere anche che nel tempo si sono formate identità proprie di etnie, espressioni religiose o culturali differenti. La grandezza sta qui: saper rispettare il diverso. Il lavoro del pellegrino è proprio questo". "Inoltre - conclude mons.
Andreatta - chi viene in queste terre recupera una sensibilità perduta, condizionata dalla stampa che descrive questi Paesi come pericolosissimi. Ma la realtà è un'altra, e noi lavoriamo per sconfiggere sia la paura che l'indifferenza".(ANSAmed).