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Studenti palestinesi contro l'occupazione ma anche l'Anp

Parlano i giovani delle università Birzeit e Al-Quds

19 ottobre, 16:05

(di Michele Monni) (ANSA) - RAMALLAH, 19 OTT - Generazione nata dopo gli Accordi di Oslo del 1993, che in parte studia o ha studiato nelle due università palestinesi di Birzeit (Ramallah) e Al-Quds (Gerusalemme), ma che soprattutto non si riconosce più nella politica dell'Autorità nazionale palestinese (Anp) del presidente Abu Mazen (Mahmoud Abbas). Queste alcune delle caratteristiche tratteggiate da esponenti delle due università nel descrivere l'ondata di violenza che ha portato all'uccisione di civili e militari israeliani. "Le università palestinesi sono sempre state molto politicizzate - dice all'ANSA Amanda Manasra, coordinatrice del Ppp (partito comunista palestinese) all'università Al-Quds - ma questa volta i partiti non c'entrano. La rabbia e la frustrazione non sono solo rivolte contro l'occupazione israeliana, ma anche verso la leadership palestinese del presidente Abbas". Alla Al-Quds studiavano ad esempio anche Mohammed Halabi e Bilal Ghanem, responsabili della morte di almeno 4 israeliani e successivamente uccisi delle forze di sicurezza. Per Manasra, 22 anni, di Betlemme, i ragazzi della sua generazione "sentono di dover partecipare alle proteste non perché glielo ordina un partito, ma perché non vedono altre vie d'uscita". "La maggior parte - aggiunge - non ha una strategia politica o un'ideologia, non vengono dall'attivismo e non sono preparati nemmeno per partecipare alle proteste". A suo giudizio, gli attentati delle ultime settimane sono la dimostrazione "del disastroso livello della condizione mentale dei palestinesi creato da decenni di occupazione". "Alcuni di loro - sottolinea riferendosi agli assalitori - sono talmente disperati, che compiono queste azioni anche se sono consapevoli che saranno uccisi". Per Walid, 21 anni, che studia economia all'università di Birzeit, e si definisce indipendente con simpatie per Fatah (il partito di Abu Mazen), "la leadership palestinese non cerca di sostenere la protesta in maniera concreta e incanalare la rabbia in maniera costruttiva, ma sfrutta il dissenso per tornare al tavolo dei negoziati con Israele". Originario di Jenin, Walid spiega che per la sua generazione "mettere fine all'occupazione israeliana non è più un imperativo dettato dal nazionalismo, ma dalla necessità di essere liberi come cittadini globali e di vedere i propri diritti umani rispettati". Entrambi gli studenti sottolineano poi che in questa ondata di violenza i nuovi media stanno giocando un ruolo fondamentale. Non solo fanno da propulsore, riverberando nel cyberspazio la protesta dei giovani, ma strumenti come Facebook e Twitter prevalgono su tutti gli altri. I social - secondo gli analisti - svincolano i manifestanti e gli attivisti dai diktat dall'alto, ma allo stesso tempo, rendono i fenomeni di violenza atomizzati ed impossibili da prevedere.

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